Alessandro Tandura è uno dei cinque decorati con medaglia d’oro che durante la I^ Guerra mondiale penetrarono nel Veneto occupato dalle truppe austro-ungariche per passare informazioni alle rispettive Armate. Lo racconta il Corriere della Sera del 2 novembre del 1933 nella rubrica Antologia del valore italiano, nell’articolo titolato Alessandro Tandura nel campo nemico.
Gli altri valorosi furono Camillo De Carlo originario del Cadore ma vissuto a Conegliano e poi a Vittorio Veneto dove negli anni ’30 è stato podestà. De Carlo fu informatore della III^ Armata nel periodo che precedette le azioni belliche del giugno 1918 da egli stesso raccontate in un volume pubblicato nel 1927 (Zanichelli editore). Poco o nulla si sa degli altri quattro valorosi, Alessandro Tandura, i due fratelli Carli di Azzano Decimo, e dell’onorevole Barnaba, friulano.
Alessandro Tandura nasce a Vittorio Veneto nel 1893, il padre è un maestro elementare del luogo. Piccolo di corporatura, è uno dei primi che entra a far parte delle compagnie d’assalto, decorato anche con medaglie d’argento al valore e distintivo dei mutilati. Dopo la vittoria del giugno 1918 sul Piave, Alessandro Tandura è designato a compiti di informazione per l’8va Armata, in previsione dell’avanzata finale.
Ai primi di agosto del 1918 il “piccolo ufficiale di complemento” Alessandro Tandura è di stanza al Comando del Corpo d’Armata di Resana di Castelfranco. Qui incontra un suo paesano, un certo Amadio che era stato fatto prigioniero a Caporetto e poi riusce a fuggire dal campo di Mathausen e si rifugia a Vittorio Veneto a casa di una zia. Qui è alloggiato un ufficiale austriaco, il triestino Cesare Pagnini, che nutre però sentimenti italiani, tant’è che aiuta l’Amadio a fuggire al di là del Piave fornendogli una uniforme da soldato austriaco. Ebbene, Tandura apprende da Amadio le sofferenze di chi è rimasto nelle terre invase e che i suoi familiari, padre, madre, sorella e fidanzata sono vivi. Nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1918 il tenente Tandura sale su un bombardiere Savoia-Pomilio e si lancia da 1600 piedi di quota col paracadute senza alcuna preparazione in una notte piovosa. Atterra sul vigneto del parroco a San Martino di Colle vicino al fiume Meschio. Deve raggiungere una località di Vittorio Veneto a quota 886 sulle pendici di Col Visentin, raccogliere informazioni da inviare tramite un cifrario con dei piccioni viaggiatori che gli sarebbero stati paracadutati in seguito. Il 30 settembre il suo compito sarebbe terminato e l’appuntamento per il rientro era già fissato tra i torrenti Meduna e Cellina. Seppellito il paracadute e l’uniforme e travestito con abiti da contadino, Alessandro Tandura incontra una donna del luogo alla quale dice di essere un prigioniero fuggito e le consegna una lettera da recapitare a Vittorio Veneto ai suoi familiari. La donna acconsente e lo informa che senza documenti regolari non si può circolare. Poche ore dopo la sorella e la fidanzata (che saranno poi decorate con medaglia d’argento) incontrano Alessandro nel luogo pattuito dove prendono accordi per passare successivamente le informazioni militari nel nascondiglio a quota 886. L’anfratto si trova nelle vicinanze di una casa di contadini il cui capofamiglia era stato allievo del padre di Alessandro alle scuole elementari di Vittorio Veneto. Gli saranno fornite le lenzuola necessarie per segnalare agli aerei la sua posizione. Tandura individua ferrovia, filovia, strade e trincee nemiche, e nelle sue perlustrazioni incontra tre alpini di Vittorio Veneto riparati sul Visentin per non cadere prigionieri durante la ritirata di novembre. Si accorda con loro e altri che sono alla macchia, per recuperare i piccioni viaggiatori, stabilendo di vedersi ogni giorno ad un’ora fissa. Inizia così il servizio informazioni, con la collaborazione della gente del luogo, che si protrae fino al 23 settembre con 16 note inviate tramite 32 spedizioni di piccioni. Accade anche che un contadino recupera dei piccioni, ma anziché darli al Tandura, insiste per consegnarli a un capitano dei bersaglieri che opera sul versante bellunese del Visentin. Tandura intuisce che può accrescere la sua rete e si accorda per un appuntamento il 31 agosto con questo sconosciuto capitano. Dopo varie peripezie, viene arrestato dai gendarmi nei pressi di Vittorio Veneto e riesce a fuggire, incontra il capitano dei bersaglieri Luigi Ardoino con il quale prende accordi e contatti futuri. Nella stessa notte rientra a casa dove abbraccia i genitori e incontra l’ufficiale austriaco triestino Cesare Pagnini segnalatogli dal compaesano Amadio. Anche con Pagnini prende accordi annota informazioni militari e si fa rilasciare un lasciapassare. La presenza del Tandura oramai è nota agli austriaci che affiggono bandi pubblici con pena di morte per chi collabora con gli italiani o detiene piccioni viaggiatori. La casa del Tandura viene perquisita, ma la madre mostra una cartolina del figlio come prova che si trova al di là del Piave. Tandura rischia sempre di più credendosi immune da pericoli, le notizie raccolte tramite la sorella, la fidanzata Emma Peterle e l’ufficiale triestino Pagnini vengono inoltrate al suo comando. La sua missione è terminata, gli viene ordinato di rientrare il 23 settembre, prima della data prefissata. Ma nel tragitto per raggiungere il luogo dell’appuntamento tra il fiume Meduna e Cellina, viene catturato dai gendarmi e incarcerato a Sacile, assegnato alla 71ma compagnia prigionieri con destinazione lavori stradali in Serbia. Nel tragitto ferroviario, tra Sacile e Pordenone il treno rallenta in prossimità della stazione di Fontanafredda. Tandura si butta dal finestrino, gli sparano addosso, ma riesce a fuggire e il giorno dopo è a casa sfinito e svenuto. Per due giorni non parla e non mangia. Dopo un mese si riprende. Gli ultimi giorni di ottobre ha notizia dell’offensiva italiana, ancora convalescente raggiunge il suo nascondiglio a quota 886 e organizza una serie di azioni di sabotaggio dei telefoni e la filovia degli austriaci. Impugnate le armi guida un manipolo di uomini. Non basta. Si lancia col paracadute al di là delle linee nemiche, raccoglie e organizza i soldati e ufficiali italiani dispersi e con essi costituisce una rete di informazioni. Per due volte viene arrestato e per due volte fugge.
“Esempio fulgido di abnegazione, di cosciente coraggio, di generosa e completa dedizione, di tutto se stesso alla patria”. L’Ufficio informazioni lo propone per la medaglia d’oro poiché ebbe una parte decisiva della guerra. “Dover ascriversi in modo particolare al merito del Tandura, se l’Armata poté entrare in azione con la piena conoscenza delle unità che aveva di fronte e della loro dislocazione”.
Finita la guerra Tandura viene congedato, ricopre varie cariche pubbliche. Dopodiché rientra nel Regio Esercito in servizio permanente effettivo. Presta servizio al 7° Rgt. Alpini dal 1922 al 1924. Nel 1925 parte volontario per la Libia con il 21° Btg. indigeno-eritreo. Il 3 ottobre 1935, all’inizio della guerra italo-etiopica, assume il comando di un reparto di Ascari dei Battaglioni Benadir con il grado di capitano, e inviato in Somalia. Nella notte del 30 dicembre 1937 muore per un attacco cardiaco a Mogadiscio dove si trovava in servizio.
Roberto De Nart
Per saperne di più: http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri43.htm
https://it.wikipedia.org/wiki/Alessandro_Tandura
http://www.noialpini.it/m.o._tandura-aless.htm