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lunedì, Maggio 13, 2024
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Le Schiavone bellunesi per la Repubblica di Venezia

Gianrodolfo Rotasso
Gianrodolfo Rotasso

Per Gli speciali di Bellunopress, pubblichiamo un articolo dell’esperto d’armi, nonché consulente nei principali musei d’Italia, Gianrodolfo Rotasso.

Le armi sono tra le più significative testimonianze della storia e quindi della cultura di un popolo: arte, scienza tecnologia ed economia influenzano e sono influenzati da questi micidiali oggetti. Ciò che spaventa e deve spaventare, è la possibilità del loro ingiusto impiego: ma questo è un discorso di responsabilità politiche e morali che riguardano, più che le armi in se stesse, la coscienza di chi deve decidere se e come usarle. Io questo lo ripeto spesso affinché prima o poi anche gli stolti finiranno per capirlo. Le terre d’Italia vantano tradizioni antichissime di abili armaioli, ancora vitali in età moderna, tanto da alimentare un’attività industriale considerata ancora oggi tra le più prestigiose del mondo. A ciò hanno certamente contribuito i continui fatti d’arme avvenuti sul nostro territorio che costrinsero i fabbricanti di ogni epoca ad apportare migliorie alle armi mantenendole pertanto sempre all’avanguardia del progresso tecnologico. Questi grandi artisti del metallo realizzarono, spesso su commissione straniera, pregevolissimi esemplari. Molte armi bianche e da fuoco, sia offensive che difensive, da loro prodotte possono essere considerate infatti dei veri capolavori, più che degni di figurare al fianco dei prodotti delle cosiddette “arti maggiori”, anche se i nostri storici dell’arte di solito le dimenticano completamente. Basti pensare, ad esempio, ad alcune armature conservate presso la stupenda armeria di Castel Coira, in Val Venosta, oppure all’archibugio farnese di Castel Sant’Angelo o alla cinquedea di Cesare Borgia. Nel Bellunese, in particolare, dal ‘400 alla prima metà del ‘600 si forgiavano lame di spade che armarono svariati eserciti – dalla Scozia al lontano Oriente, in particolare per le milizie della Serenissima – e i cui esemplari superstiti fanno ora bella mostra di sé nei più noti musei e collezioni private del mondo.

Schiavona bellunese
Schiavona bellunese

 Lungo il corso del torrente ardo, a nord-est di Belluno, nelle località di Busighel e Fisterre, da notizie riportate da storici del XVI secolo, venivano prodotte “fin 25 mille spade all’anno d’ogni sorte” mentre da un documento del del 1578 sappiamo che alcuni gentiluomini inglesi siglarono un contratto con gli armaioli di Belluno per la fornitura di ben 600 spade al mese per un periodo di 10 anni. Questo fu dovuto grazie all’ottimo ferro che si estraeva dalle miniere delle vallate dell’Agordino e dello Zoldano. Importanti furono le miniere del Fursil, il cui minerale ferroso, ricco di manganese, si prestava maggiormente alla fucinatura di lame che all’epoca venivano forgiate con la tecnica detta “a stoffa”. Questa consisteva nell’unire a caldo, ossia martellando assieme lamine di acciaio e di ferro finché si saldavano per bollitura. La tempra del filo, ricavato in lamina d’acciaio molto carburato, veniva curata in particolare modo perché doveva essere dura nel fendere, ma non al punto di divenire fragile e scheggiarsi. In questo modo le lame risultavano molto resistenti e tenaci. Queste, oltretutto, erano opera solo di maestri, che potevano firmarle o dei loro allievi che si limitavano ad imprimere il marchio della bottega. Quello delle spade fu il periodo più florido dell’Alto Veneto. In rapporto ai tempi è stato superiore anche alla moderna attività degli occhiali. E’ sufficiente guardare la realizzazione del centro storico di Belluno, tra cui primeggia il Palazzo dei Rettori. Opere del genere, certo non non furono realizzate nei periodi successivi, quando per sopravvivere bisognava andarsene dalle nostre terre. La bravura degli artigiani bellunesi in quei secoli, primeggiò a livello europeo. A confermarcelo, è la ricca documentazione di studiosi italiani e stranieri, oltre allo storico Piloni che a suo tempo ci ha dato una descrizione abbastanza esaudiente del nostro territorio. Per produrre una spada all’epoca, era necessaria una grande manovalanza di personale di mestiere, dai minatori ai fabbricanti di carbone e legna, a chi preparava le guaine del fodero, i suoi fornimenti, i conciatori di pelle, il fornimento della spada stessa: guardia, impugnatura e pomo. Celebri furono i maestri spadari come Pietro da Formegan, Giandonato Ferara (fratello del più noto Andrea), e i fratelli Giorgio e Giuseppe Giorgiutti da Agordo, dei quali si possono ammirare due bellissimi spadoni a due mani nella Sala d’armi del Consiglio dei Dieci a Palazzo Ducale a Venezia. Di Pietro da Formegan di conserva a Palazzo Venezia a Roma, nella collezione che fu dei conti Odescalchi, un  importante spadone a due mani. Oltre che nel Bellunese, la fabbricazione delle spade conobbe illustri artigiani anche nelle zone vicine, al punto che una spada di Marson da Ceneda (che con Serravalle forma l’attuale Comune di Vittorio Veneto) fu usata da Re di Svezia Gustavo Adolfo durante la Guerra dei Trent’anni ed ora è conservata al Kungl Livrustkmmaren di Stoccolma. E’ doveroso ricordare che la prima fucina da spade di Serravalle fu impiantata da “mastro” Giacomo da Belluno verso la fine del Quattrocento. Il più noto tra i maestri spadari è però il già citato Andrea Ferara da Fonzaso, attivo nella seconda metà del Cinquecento. Le sue spade con l’elegantissimo fornimento “a tre vie” fecero epoca e da questo fornimento Ferara elaborò anche la gabbia del primo tipo di Schiavona. Importante, dunque, fu il ruolo del Bellunese nel mercato europeo delle armi bianche, tanto da far spesso temibile concorrenza a famose città quali Solingen e Passau, con le quali ebbe anche una controversa “guerra dei marchi”. Uno dei marchi più usato dai Bellunesi per lame di pregio era infatti il lupo, che però l’arciduca Alberto aveva già concesso come segno di riconoscimento agli armaioli di Passau fin dal 1349. Difficile dire se fosse stato scelto di proposito, come fecero gli spadari di Solingen, per sfruttare la fama della città concorrente. Ma se così fosse, consoliamoci all’idea che anche il nome di Andrea Ferara veniva spesso contraffatto in Germania su lame destinate al mercato inglese. La spada più nota della Repubblica Veneziana è senza dubbio la Schiavona, anzi, si può dire che essa sia sinonimo di Venezia, essendo legata ai suoi ultimi due secoli di storia terminando il suo servizio con l’occupazione napoleonica del territorio della Serenissima. A Belluno, dei cinque tipi di schiavona, si forgiarono i primi tre. Il quarto e il quinto, che sono l’evoluzione del terzo tipo, furono realizzate a Serravalle.  Il primo tipo, il più semplice, si evolve dalla spada detta “a tre vie”. Dai rami del massello che forma la traversa, infatti, si dipartono i tre rami che, uscenti il primo dal ramo di guardia, il secondo dal braccio di guardia e il terzo dall’archetto inferiore, si congiungono al braccio di parata, imitando il particolare disegno da cui la denominazione a tre vie. Il secondo tipo lo possiamo datare verso i primi del Seicento ed è caratterizzato da un aumento di rami protettivi. Il terzo tipo, invece, viene realizzato verso la fine del primo quarto del Seicento, con un disegno del tutto nuovo. Dal massello inferiore esce un complesso intreccio di rami intersecati da due rami trasversali uniti da ponticelli e dall’archetto inferiore al superiore si congiungono due ponti. Il quarto e il quinto tipo, settecenteschi, si differenziano dal terzo per l’aumento dei rami trasversali (da due a tre a quattro), e per la controguardia, anch’essa resa più fitta di rami tutti uscenti a mo’ di raggiera dalla parte inferiore del massello, tanto da formare una vera e propria gabbia.  Gli esemplari più vecchi montano il pomo di ferro di stile quadrotto, caratteristico delle spade schiavonesche, mentre dal terzo tipo in poi è più comune il pomo in ottone detto a “testa di gatto”. Questa spada comparve verso la metà del Cinquecento al fianco delle milizie levantine degli “Oltremarini”, come si chiamavano i veneziani, tra le quali si distinguevano gli Schiavoni (da cui il nome della spada), assoldati anche nella Guardia del corpo dei Dogi. All’inizio, per evitare l’impiego della manopola, la spada era dotata di un semplice fornimento composto da due o tre rami trasversali di protezione, la meravigliosa gabbia che nei secoli successivi si svilupperà in varie tipologie, la si deve infatti al grande maestro Andrea Ferara. Fu una spada prettamente da munizione, si conoscono pochi esemplari firmati, fatti costruire su commissione. Per questo motivo è un’arma che figura poco nell’iconografia. Come si sa, i pittori affermati preferivano ritrarre i grandi personaggi del momento, previo lauto compenso. Oltretutto, le rare volte che veniva presa in esame, figura sempre il primo tipo di spada, perché era il più appariscente. E si vedono i rami della guardia, l’impugnatura e il pomo che spesso è dipinto di giallo, cosa che con il quarto e quinto tipo di Schiavona non figurerebbero così bene. La gran massa delle lame reca i marchi delle varie botteghe dell’Ardo. Dai ferri di molino alle croissant dentellate (da non confondere con quelle stiriane) e alle due mezze lune dal volto umano addossate. Il leone in moleca, impresso sui rami delle gabbie in prevalenza del secondo tipo, non c’entra, è solo il vecchio simbolo di proprietà dell’Armeria del Consiglio dei Dieci. E’ interessante notare che questo ultimo marchio, le due mezze lune, fu largamente imitato su lame di spade sudanesi dai tempi di Mahdi, le Kaskara. Alcune di queste spade islamiche, caratteristiche per l’elsa a croce e il pomo a ruota, montano lame di antiche Schiavonesche probabilmente rimaste in terra d’Africa in seguito a fatti d’arme o arrivate per vie commerciali non del tutto legali trattandosi di acquirenti, come ben noto, ostili alla Repubblica di Venezia. La bontà di queste vecchie lame, tuttavia, è stata talmente apprezzata, tanto da imitarne grossolanamente i marchi nei secoli successivi, sulle povere spade locali.

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