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Presentato il primo volume “Vajont. La prima sentenza. L’istruttoria del giudice Mario Fabbri”

Enrico Bacchetti, Diego Cason, Silvia Miscellaneo, Maurizio Reberschak

Belluno, 5 ottobre 2023 – E’ stato presentato questa mattina all’Archivio di Stato di Belluno il volume “Vajont. La prima sentenza. L’istruttoria del giudice Mario Fabbri” curato da Maurizio Reberschak, Silvia Miscellaneo e Enrico Bacchetti (Cierre Edizioni 633 pag. 38 euro), cui seguirà un secondo volume. A completamento del progetto iniziato un paio di anni fa.
“Si tratta del testo integrale da sentenza istruttoria del giudice istruttore Mario Fabbri – ha detto il sociologo Diego Cason, presidente dell’Isbrec – che con competenza, ostinazione e impegno nella ricostruzione della dinamica dei fatti è giunto a un giudizio equo”. Il professor Maurizio Reberschak, nel suo dettagliato intervento, ha raccontato delle difficoltà incontrate nei suoi 40 anni di studio del Vajont; a partire dai due rifiuti all’accesso del fascicolo processuale a L’Aquila che solo nel 2002 riuscirà a consultare. “Mario Fabbri utilizzò i documenti in modo esemplare – evidenzia il professor Reberschak – ordinandoli con un indice cronologico. Il Vajont è un esempio a livello mondiale, riconosciuto dall’Unesco al pari del caso di Nelson Mandela (apartheid Sudafrica), e dei desaparecidos in Argentina”. Del Vajont, ha detto Reberschak, e dello sfruttamento delle acque si inizia a parlarne nel 1900 poi nel 1925/1927 e si finisce nel 2000 con i corresponsabili della vicenda, Montedison, Enel e Stato e i 900 miliardi di risarcimenti. “Non è una catastrofe, la catastrofe è un fatto naturale, è un disastro, dai risvolti giuridici! La sentenza Fabbri ha fatto giurisprudenza, soprattutto per tre ragioni: 1) nei rapporti tra magistratura e politica è la prima volta che un giudice consegna dei documenti secretati (era successo solo nel 1892/1894 con lo scandalo della Banca romana); 2) l’aver trovato dei tecnici, nel 2° Collegio dei periti, con il geologo Calvino, che individua le cause del disastro; 3)l’aver portato le carte processuali fuori dell’Italia (le relazioni tecniche furono scritte in francese e poi tradotte)”. La sentenza Fabbri statuisce che non si possono ignorare i sintomi, non intervenire significa aver causato le conseguenze, e chi non interviene diventa colpevole. “Questo principio – ha ricordato il professor Reberschak – sarà invocato anche dall’avvocato Palmieri che venne chiamato negli Stati Uniti nel processo per i danni subiti dalle famiglie che abitavano in prossimità dello stabilimento che produceva l’agente arancio, il defogliante usato nella guerra in Vietnam”. La dottoressa Silvia Miscellaneo, responsabile dell’Archivio di Stato di Belluno, ha sottolineato la ricchezza dei dati e delle informazioni contenute nella sentenza, ottenuta dai 170 faldoni provenienti dal sequestro degli atti disposto dal giudice Fabbri, su un totale di 254 faldoni. E’ la sentenza più completa perché costruita dal giudice incrociando una mole straordinaria di dati. Un patrimonio di 160mila immagini che saranno on line entro fine anno”. Il professor Enrico Bacchetti, direttore dell’Isbrec, ha sottolineato come la sentenza Fabbri abbia cambiato la giurisprudenza, aprendo squarci interessanti nei rapporti legge/giustizia, verità/giustizia. Il ruolo tra storia e giustizia, diritto ed etica. Ed è anche uno spaccato di storia dell’Italia degli anni 1950/60. Sono intervenuti anche l’architetta Irma Visalli per l’Associazione Tina Merlin, promotrice del riconoscimento Unesco, che ha posto l’accento sulle due figure emblematiche del processo, ovvero la giornalista Tina Merlin e il giudice Mario Fabbri. L’avvocato Gino Sperandio, presidente dell’Anpi Belluno, che ha evidenziato l’evoluzione dal caso Vajont dell’ipotesi di reato di strage colposa. La dottoressa Antonella Fabbri, figlia del giudice Mario Fabbri, che ha ricordato la creazione dell’Ufficio riconoscimento salme voluto dal padre, per evitare lo strazio ai familiari. E l’incontro a Venezia nel 1988 tra il padre e il giudice Falcone. Quest’ultimo disse a Fabbri che la sentenza sul Vajont aprì la strada alle commissioni d’inchiesta e alle perizie dall’estero. Al termine la testimonianza appassionata del dottor Umberto Olivier, superstite del Vajont, dove persero la vita i suoi familiari. “Questo libro edito da Cierre – ha detto – è la sorgente della verità. Che riporta l’integrale sentenza istruttoria, una sentenza di civiltà”. Olivier ha concluso con un accorato appello affinché la documentazione sul Vajont rimanga per sempre custodita a Belluno.

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