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Attentato a Napoleone III°. La sorella di Carlo de Rudio sostiene che il fratello partecipò alla Spedizione dei Mille. Ma viene smentita

Villa Rudio a Cusighe (Belluno)

Alessandro Luzio, giornalista e storico del Risorgimento, non doveva avere molta stima di Carlo di Rudio. Perché definì le rivelazioni del nobile bellunese, che facevano intendere la partecipazione attiva del Crispi all’attentato del 1859 contro Napoleone III°, come “materia di estiva discussione alla stampa sfaccendata”.

A sostegno di Carlo di Rudio interviene la sorella Luigia sulla Gazzetta di Venezia con un articolo poi ripreso dal Corriere della Sera di mercoledì 19 agosto 1908, per cancellare l’impressione indotta dal Luzio su una frase del presidente delle Assise della Senna durante lo storico processo ai congiurati.

“Se mio fratello – scrive Luigia de Rudio alla Gazzetta di Venezia – allora privo di mezzi, appartenendo a una famiglia che, per fanatismo patriottico, era ormai ridotta a mal partito, ha avuto bisogno di denari per recarsi a Parigi, non per questo diventa un assassino mercenario. La sua difesa in quella triste occasione, a quanto pare, non fu abile, ma ciò si spiega quando si pensi che egli era allora giovanissimo e che, per di più, non conosceva perfettamente la preparazione del complotto, obbedendo solo ciecamente all’Orsini, il quale anzi, dopo la condanna, implorò la grazia per mio fratello. L’Orsini, in quel momento, ricordò certamente nostro padre, il quale, trovandosi prigioniero nel 1855 al castello di Mantova insieme a me, contrasse amicizia con lui, quando fu messo in una camera comune con l’avvocato Bonati di Cremona, col Banfi di Milano, con Ambrogio Correnti e altri. E se anche mio fratello implorò la clemenza dei giudici, è bene si sappia che egli era sposo da poco più di un anno e padre da un mese”! Luigia de Rudio prosegue la sua lettera dicendo che il fratello Carlo, per la causa nazionale, non si limita al triste episodio dell’attentato. “Infatti, nel 1848, quando era scoppiata la rivoluzione a Milano, egli si trovava in quel collegio militare, fu mandato sotto scorta con altri suoi compagni a Gratz e da lì fuggì a Venezia, arruolandosi nella legione di Pier Fortunato Calvi. L’anno dopo fu a Roma con Garibaldi, quindi dovette rifugiarsi a Londra, da dove nel 1853 venne di nascosto in Italia, con quanto disagio io lo so, per portarvi i proclami del Mazzini ed infine, dopo la sua fuga dalla Cajenna dov’era stato incarcerato a seguito la condanna di Parigi, egli, ricercato, proscritto, prima di abbandonare la patria per recarsi in una terra ospitale, volle ancora una volta portare il suo contributo di ardore giovanile al Risorgimento italiano e, sotto il nome di Carlo Rodi, prese parte alla storica spedizione in Sicilia, meritandosi da Garibaldi, all’assedio di Palermo, il grado di capitano”.

Ma c’è un lettore, che si firma Guido Silva dei Mille, che in relazione alle affermazioni di Luigia de Rudio, il 19 agosto 1908 scrive al Corriere della Sera e dice: “Giova ricordare come il conte Carlo Rudio, nato a Belluno nel 1833 avesse 25 anni all’epoca dell’attentato di Felice Orsini nel 1858 e perciò ne doveva avere 27 nel 1860, anno della Spedizione dei Mille. Dall’elenco 1864 e dal successivo e definitivo elenco ufficiale 1878 risulta che tra i Mille c’era un unico Carlo Rodi fu Vincenzo nato a Bosco Marengo nel 1801 e morto a Fresconara il 22 febbraio 1862. Il Carlo Rudio è tutt’ora vivente all’età di 75 anni circa. Si confrontino ora questi dati e si giudichi del valore delle affermazioni defensionali della signora Rudio”.

Anche Alessandro Luzio interviene successivamente, sul Corriere della Sera del 23 agosto 1908, confermando che Carlo Rodi era uno dei vecchi seguaci di Garibaldi in America notissimo perché mutilato. I moncherini del Rodi sono ora posseduti da Ximenes nel suo vecchio Museo dei Mille. E anche l’Abba nelle sue “Noterelle d’uno dei Mille”, a pag.143 parla di “Rodi mutilato antico”. Dunque niente in comune con il Rudio.
(rdn)

4 – continua

Fonte: archivio Corriere della Sera

 

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