La proposta dell’esecutivo Renzi di inserire dal 1 gennaio 2015 il trattamento di fine rapporto nelle buste paga dei lavoratori non trova concorde l’Associazione Provinciale Piccola Industria e Artigianato di Belluno.
“ Se l’obiettivo è quello di rilanciare i consumi attraverso l’aumentato potere di acquisto dei lavoratori derivante dall’avere mensilmente in busta paga un rateo del TFR che annualmente si matura, va detto – puntualizza il presidente dell’APPIA/CNA Moreno De Col – che la questione è mal posta e si presta ad errate valutazioni e soluzioni pasticciate.
Anzitutto per una consistente parte di lavoratori l’anticipazione non sarebbe possibile in quanto il trattamento di fine rapporto alimenta i vari fondi di previdenza complementare aperti o chiusi che si sono attivati in questi ultimi anni al fine di costituire una integrazione alle pensioni che verranno erogate. Per le aziende poi che occupano più di 50 dipendenti c’è l’obbligo di versare il TFR degli occupati, se non aderiscono a fondi di previdenza complementare, all’INPS.
La proposta coinvolgerebbe dunque le imprese sotto i 50 dipendenti che hanno scelto di non attivare la previdenza complementare.
I già conclamati problemi di liquidità che ha questa fascia di imprese diventerebbero un vero e proprio collasso finanziario se invece di avere un debito di lungo periodo si dovesse anticipare mensilmente parte del TFR. E le proposte che si susseguono per affrontare questo scottante tema (forme di compensazione, anticipazione non totale ma percentuale del TFR maturando) non rassicura certo il sistema produttivo”.
“ Se si vogliono rilanciare i consumi magari indirizzandoli verso beni mobili ma di utilità pluriennale come elettrodomestici, auto, componenti di arredamento si potrebbe, molto semplicemente, – sostiene il direttore dell’APPIA Maurizio Ranon – modificare la legge 297 del 1982 che regola i casi in cui è possibile ottenere anticipazioni del trattamento di fine rapporto fino al 70% dell’importo maturato aggiungendo alle voci ora esistenti collegate all’acquisto della prima casa e delle spese sanitarie quelle ritenute più opportune per un rilancio selettivo dei consumi. Questo avrebbe anche l’indubbio vantaggio, per le aziende, di non avere esborsi generalizzati ma solo collegati a specifiche esigenze di propri dipendenti e sarebbe in tal modo anche più semplice e complessivamente meno costoso, per il legislatore, trovare forme di compensazione puntuale alla mancanza di liquidità che si determinerebbe in azienda.”