Ad una settimana di distanza dall’apertura del Nuovo Spazio espositivo di Casso, che lo scorso week-end ha portato 800 persone sullo Spalto al Bilico, Dolomiti Contemporanee ha inaugurato sabato il secondo ciclo espositivo nella fabbrica riattivata di Taibon Agordino, con sette nuove mostre e una performance.
Molti dei 35 artisti che hanno costruito le proprie opere nel periodo in Residenza erano presenti, insieme a curatori e galleristi. La fabbrica continua ad essere un centro di incontri, scambi, azione e conoscenza.
L’esperienza di Taibon, con questo grande laboratorio e cantiere creativo, una macchina di ricezione/comunicazione attrezzata al Campo Base di un territorio verticale, sotto alle cime, da due mesi l’opposto di una stazione di contemplazione, è invece aperta palestra sperimentale d’esplorazioni e interazioni estetiche psicologiche etologiche sociali umane, in cui si ribaltano gli stereotipi su natura e paesaggio.
Quest’esperienza non ha portato a realizzare 7 singole mostre negli spazi industriali riadattati.
Si è piuttosto creato un disegno, i progetti espositivi si sono combinati tra loro, progetti organici, attraverso le interazioni tra gli artisti, le interazioni con l’ambiente/natura/paesaggio/contesto, le interazioni tra il dispositivo DC Next e la comunità. Il lavoro di ricognizione ha prodotto idee e riflessioni e immagini e manufatti, plasmati o assemblati grazie all’attivazione della rete delle relazioni attive produttive. Un cantiere totale, nel quale i materiali si sono trasformati, formalizzando pensieri e impressioni.
Valentina Bonomo, della GalleriaValentina Bonomo Roma, era presente, insieme a Giuseppe Caccavale, che ha condotto il workshop insieme alle ragazze dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, e agli studenti locali. L’esito del workshop, incentrato sulla riformulazione di immagini-parola della montagna, paesaggi-parola, è ora visibile e consultabile, nell’APl 5, una delle sette mostre. Il soppalco dell’APL 4 ha accolto la bipersonale a cura di Galleria Jarach Venezia, il lavoro di Daniele Pezzi, un video girato a Mondeval, installato nell’allestimento aereo, e ai suoi piedi le sculture geometriche Andrea Dojmi.
La bianca ghiaia alluvionale dell’Agner campeggia lì accanto, 100 metri cubi di letto, un mare di pietra, e sopra la rossa palla di corda, con la quale Hubert Kostner ha rappresentato lo Spigolo Nord dell’Agner, con la Galleria Goethe Bolzano, DC e Salewa. Un impatto formidabile, la lingua di roccia fuori dalla fabbrica, un ‘installazione potente e istantanea.
Quindi “Abitanti, abitati”, la mostra collettiva curata da Stefano Coletto, in collaborazione con la Fondazione Bevilacqua La Masa, in particolare con i lavori costruiti appositamente a Taibon da Riccardi Banfi Teresa Cos Luigi Leaci, che han studiato e conosciuto luoghi e persone, ricavandone dei ritratti, musicali (la Taibonera), fotografivi, video.
La mostra di Riccardo Caldura, Futire, Landscape II, è il secondo passagio agordino del progetto gemellato Forte Marghera/Parco del Contemporaneo.
I fucili abbandonati a terra dagli alpini sono quanto resta della performance di Filippo Berta, Istruzioni d’uso, a cura di Daniele Capra, che ha trattenuto oltre 250 persone per 25 minuti nell’APL 9, mentre si assisteva alla danza degli M1.
E quindi la collettiva “e l’uomo non è una felce”, a cura di Gianluca D’Incà Levis, nella quale campeggiano i due volumi principali, costruiti durante la Residenza: il masso di 3.000 kg., scavato ad accogliere l’acqua che filtra dal tetto, di Giorgia Severi, e il Kong Plastic Evolution di Gino Blanc, gigantesca scimmia che non è una scimmia, la lingua tagliata, inchiodata su un asse accanto.
Nella serata del 22 c’è stata anche la musica di Superegos vs. Lorenzo Commisso, nell’APL 2, accanto al Next-bar, e nel crepuscolo, tra le luci i suoni, la fabbrica accesa a brillanza nel fuoco nero della notte, e vicino, le vacche, a scampanare, erba e buio, autentico buio di campagna.
Ora la gente viene, numerosa, a Taibon come a Casso, anche lì la fabbrica si rendeva e pulsava, e questi due flussi sono uno solo, e non lo fermiamo, perché l’uomo non è una felce.