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Il fallito attentato a Mussolini di Angelo Sbardellotto, l’anarchico originario di Villa di Villa fucilato a Roma nel 1932

Proseguiamo gli Speciali di Bellunopress con la storia dell’anarchico Sbardellotto, fucilato per aver progettato di uccidere Mussolini. Il pomeriggio del 4 giugno del 1932 a Roma, in Piazza Venezia lungo il marciapiede tra Corso Umberto e Vicolo Mancino, il 24enne anarchico Angelo Pellegrino Sbardellotto nato a Villa di Villa (Mel – Belluno), viene fermato da due agenti di polizia in borghese. Sbardellotto esibisce loro un passaporto falso intestato ad Angelo Galvini, commerciante svizzero di Bellinzona, ma poiché era sprovvisto del permesso di soggiorno, viene arrestato ed accompagnato a Palazzo Buonaparte dove viene perquisito. Gli vengono trovati addosso una pistola francese Mab (Manufacture d’armes de Bayonne) calibro 6.35 e due bombe artigianali, una fiaschetta con 80 grammi di cheddite e miccia ed un tubo piegato con 400 grammi di dinamite e miccia. Sbardellotto dichiara allora la sua vera identità e l’intenzione di uccidere Mussolini (dichiarerà anche che era al suo terzo tentativo). Seguono gli interrogatori in questura e due giorni dopo un  memoriale (quasi certamente falsificato dalla polizia fascista ed attribuitogli) dove l’arrestato dichiara i nomi dei suoi complici: Vittorio Cantarelli, compagno anarchico residente a Bruxelles, Emidio Recchioni o “Nemo” residente a Londra e Alberto Tarchiani del movimento “Giustizia e libertà”. La mattina del 16 giugno, dopo una breve istruttoria del procuratore generale, il presidente del Tribunale speciale Guido Cristini pronuncia la sentenza di condanna a morte “mediante fucilazione alla schiena in quanto responsabile dei delitti di cui agli articoli 305 e 280 del Codice penale per aver con altri attentato alla vita di S.E. il Capo del Governo”. Angelo Sbardellotto non presenta alcuna richiesta di grazia, anzi, dichiara fieramente all’avvocato d’ufficio “Ma ché pentito e pentito, io rimpiango solo di non averlo ammazzato”! Alle 5.45 del 17 giugno 1932 avviene la fucilazione a Forte Bravetta (dal 1931 al 1945 verranno eseguite un totale di 115 esecuzioni). Questi i fatti. Ora qualche retroscena. Quinto di undici figli, Angelo faceva lo stalliere all’albergo Cappello di Mel, finché, compiuti 17 anni emigra in Francia, poi in Lussemburgo e Belgio dove lavora come operaio meccanico e minatore e matura un profondo antifascismo, tale da fargli abbracciare gl’ideali anarchici. Nel ’28 la madre Giovanna Dall’Omo, analfabeta, con l’aiuto della maestra del paese gli scrive per avvisarlo della cartolina di chiamata alle armi e per convincerlo a ritornare. Angelo risponde proclamandosi anarchico, precisando il suo rifiuto ad indossare la divisa. La madre, che era di mentalità tradizionalista e cattolica osservante, rimane sconcertata e chiede aiuto al parroco del paese. Ebbene, la maestra o più probabilmente il parroco (che nella messa celebrata il giorno dopo la fucilazione ebbe a dire “l’anima di Angelo è finita certamente all’inferno, perché aveva osato attentare alla vita dell’Uomo della provvidenza”), informano le autorità del contenuto della lettera. Angelo Sbardellotto viene così iscritto al registro dei renitenti alla leva, oltre che schedato tra i 269 antifascisti più pericolosi del Belgio, sorvegliato dalla polizia politica a Seraing in provincia di Liegi, dove lavorava nella miniera di carbone di Ougrer Marihai. Questo spiegherebbe anche la facilità della cattura a Roma, in quanto l’Ovra, la polizia segreta fascista, già da tempo conosceva e seguiva  gli spostamenti della cellula anarchica italo-belga. Olivo, fratello di Angelo, classe 1915, da me intervistato qualche tempo fa, non ne sa nulla di quella lettera e della conseguente nota informativa che dalla Prefettura di Belluno raggiunge il Casellario politico centrale di Roma. Nel 1932 Olivo aveva 16 anni e faceva il garzone nel panificio di Mel, il padre costruiva cesti e la mamma era casalinga. Tutti i suoi fratelli, tranne la sorella minore Anna di 10 anni (morta alcuni anni fa) erano emigrati all’estero. “Due giorni dopo l’arresto di Angelo – racconta Olivo – i miei genitori ed io siamo stati portati nelle carceri di Belluno e Anna venne affidata alla maestra. Una volta accertata la nostra estraneità all’attentato (dopo 8 giorni), ci lasciarono tornare a casa e la vita riprese normalmente, salvo la presenza dei carabinieri che vigilavano la nostra casa, per evitare ritorsioni dei fascisti più scalmanati”. Olivo, in seguito frequenterà la Scuola sottufficiali, da dove uscirà col grado di sergente maggiore degli alpini. Concludo con un’annotazione personale di carattere storico-politico. Qualche tempo fa, Giuseppe Galzerano, autore del libro “Vita, processo e morte dell’emigrante anarchico fucilato per l’intenzione di uccidere Mussolini” si è dato un gran da fare affinché il Comune di Mel intitoli una via ad Angelo Sbardellotto. Indubbiamente, la figura Angelo Sbardellotto minatore autodidatta, che paga con la vita la sua utopia anarchica, rifiutando di firmare la domanda di grazia (che sicuramente sarebbe stata accolta), esercita un forte fascino. Ma non è consentito ad uno storico ragionare sui fatti di ieri alla luce di ciò che sappiamo oggi. E allora dobbiamo chiederci: chi era Benito Mussolini nel 1932? A dircelo è il Segretario di Stato americano Henry L.Stimson in visita a Roma il 9 luglio del ’31: “Ci vorrebbe anche per l’America un Mussolini”. Dunque, Mussolini nel ’32 godeva della stima e dell’ammirazione dei politici internazionali. Addirittura l’8 settembre del ‘37 il Duce è insignito della laurea honoris causa dalla Facoltà di legge dell’Università di Losanna. Benché l’anno prima l’Italia fosse stata punita dalla Società delle nazioni proprio con sede a Losanna, per l’aggressione all’Etiopia. Ciò dimostra lo straordinario potere d’attrazione del regime su una parte dell’intellighenzia europea che ancora esercitava. E se il Re Umberto I, assegnando la Croce dell’Ordine militare di Savoia al generale Bava Beccaris che nel maggio del 1898 a Milano prese a cannonate il popolo (80 morti e 450 feriti), firmò la sua condanna a morte eseguita poi nel luglio del 1900 per mano dall’anarchico Gaetano Bresci, con tre colpi calibro 9 esplosi con il revolver Massachusetts (della Harrington & Richards). Per Mussolini non valevano le stesse ragioni, visto che nel ’32 non aveva mai applaudito a simili violenze sul popolo e, agli occhi del mondo, non appariva certo come un uomo da sopprimere. Né, del resto, nessuno all’epoca poteva prevedere la futura catastrofe nella quale ci avrebbe trascinato.
Nel 2005 il Comune di Mel gli dedica un monumento
Fa ancora discutere la decisione del Comune di Mel che il16 ottobre 2005 ha inaugurato il monumento al Parco della Giazera di Mel in memoria di Angelo Sbardellotto, il giovane anarchico originario di Villa di Villa fucilato per aver progettato di uccidere Mussolini. Partiamo da quel giorno, il 4 giugno 1932,  quando il 24enne Angelo Pellegrino Sbardellotto viene fermato da due agenti di polizia in borghese a Roma, in Piazza Venezia. Sbardellotto esibisce un passaporto falso intestato ad Angelo Galvini, commerciante svizzero di Bellinzona. Ma essendo sprovvisto del permesso di soggiorno viene arrestato ed accompagnato a Palazzo Buonaparte dove avviene la perquisizione. Gli vengono trovati una pistola francese Mab calibro 6.35, due bombe artigianali, una fiaschetta con 80 grammi di cheddite e miccia ed un tubo con 400 grammi di dinamite e miccia. A quel punto Sbardellotto rivela la sua vera identità e l’intenzione di uccidere Mussolini. Seguono gli interrogatori in questura e due giorni dopo appare un memoriale, quasi certamente falsificato dalla polizia fascista, dove l’arrestato fa i nomi dei suoi complici: Vittorio Cantarelli residente a Bruxelles, Emidio Recchioni o “Nemo” residente a Londra e Alberto Tarchiani del movimento “Giustizia e libertà”. La mattina del 16 giugno, dopo una breve istruttoria del procuratore generale, il presidente del Tribunale speciale Guido Cristini pronuncia la sentenza di condanna a morte “mediante fucilazione alla schiena in quanto responsabile dei delitti di cui agli articoli 305 e 280 del Codice penale per aver con altri attentato alla vita di S.E. il Capo del Governo Benito Mussolini”. Angelo Sbardellotto non presenta alcuna richiesta di grazia, anzi, dichiara fieramente:  “Ma ché pentito e pentito, io rimpiango solo di non averlo ammazzato”! Alle 5.45 del 17 giugno 1932 avviene la fucilazione a Forte Bravetta.

Le ragioni per sostenere la sua riabilitazione
Passiamo ora alle ragioni che hanno indotto il Comune di Mel ad intitolargli il monumento. Non c’è alcun dubbio, Angelo Sbardellotto pagò un prezzo sproporzionato il suo progetto di uccidere Mussolini. Ed anche il processo che subì fu una farsa: in 10 minuti di Camera di consiglio viene pronunciata la sentenza di condanna a morte, senza che fossero garantiti gli elementari diritti di difesa e manomettendo a piene mani i documenti, anche in modo grossolano, dai quali emergerebbe un’improbabile delazione di Sbardellotto, che spiffera i nomi dei suoi compagni anarchici. Perché mai l’avrebbe fatto? Se rifiutò di chiedere la grazia dichiarando addirittura che il suo unico pentimento è quello di avere fallito l’attentato! E’ evidente che quest’infamia non regge. Lo stile di scrittura nel memoriale attribuito a Sbardellotto, inoltre, non gli appartiene. Frasi sgrammaticate che non hanno nulla a che vedere con le eleganti corrispondenze che Angelo Sbardellotto inviava alle donne che aveva amato. Dunque, un processo ed una condanna a morte illegittima perché fondata su un procedimento ampiamente manovrato dal quale l’imputato doveva uscire solo cadavere. Motivi per la riabilitazione ce ne sono, dunque. Del resto, per un caso simile successo ad un altro bellunese, il conte Carlo Rudio, che fece parte del complotto che attentò alla vita di Napoleone III a Parigi il 14 gennaio del 1858 con Felice Orsini ed Antonio Gomez, la giustizia dell’epoca commutò la ghigliottina in carcere a vita. A chiedere che oggi sia fatta giustizia, sia pur tardiva, e che sia riabilitato il nome di Angelo Sbardellotto con una via che lo ricordi, è in primo luogo il professor Giuseppe Galzerano, autore del libro “Angelo Sbardellotto. Vita, processo e morte dell’emigrante anarchico fucilato per l’intenzione di uccidere Mussolini”. Oltre al Circolo anarchico ”A.Sbardellotto” di Belluno.

Le ragioni per non dedicargli il monumento
Indubbiamente, la figura Angelo Sbardellotto minatore autodidatta, che paga con la vita la sua utopia anarchica, rifiutando di firmare la domanda di grazia (che quasi sicuramente gli sarebbe stata accordata da Mussolini), esercita un forte fascino. Evoca, insomma, quell’immagine dell’eroe che sfida la morte per una giusta causa. Ma non è consentito misurare il passato con il metro del presente. Troppo facile: oggi sappiamo tutti della catastrofe nella quale ci avrebbe trascinati Mussolini. Ma la domanda alla quale ci si deve attenere è: chi era Benito Mussolini nel 1932 quando Sbardellotto progettò l’attentato? A dircelo è il Segretario di Stato americano Henry L.Stimson in visita a Roma il 9 luglio del ’31: “Ci vorrebbe anche per l’America un Mussolini”. E ancora. Winston Churchill, cancelliere britannico, che il 15 Gennaio del ’26 incontra il Duce esprimendo grande stima ed ammirazione nella stampa dell’epoca. Oltre ad intervenire in suo favore con la riduzione del debito italiano nei confronti della Gran Bretagna da 600 a 200 milioni di sterline, dovuti per gli aiuti ricevuti in sostegno alla Prima guerra mondiale. Dunque, Mussolini in quegli anni godeva della stima e dell’ammirazione dei politici internazionali. Addirittura l’8 settembre del ‘37 il Duce è insignito della laurea honoris causa dalla Facoltà di legge dell’Università di Losanna. Benché l’anno prima l’Italia fosse stata punita dalla Società delle nazioni proprio con sede a Losanna, per l’aggressione all’Etiopia. Ciò dimostra lo straordinario potere d’attrazione del regime su una parte dell’intellighenzia europea che ancora esercitava. E se l’anarchico Gaetano Bresci oggi può vantare delle targhe che lo ricordano, pur avendo ucciso con tre colpi di revolver calibro 9 il Re Umberto I nel luglio del 1900. Non dimentichiamo che, in quel caso, fu il sovrano stesso a macchiarsi d’indegnità assegnando la Croce dell’Ordine militare di Savoia al generale Bava Beccaris che nel maggio del 1898 a Milano prese a cannonate il popolo (80 morti e 450 feriti). Nella vicenda di Sbardellotto non ricorrono certamente siffatti presupposti. Mussolini fino al 1932 non aveva mai applaudito a simili violenze sul popolo e, agli occhi del mondo, non appariva certo come un uomo da sopprimere.
 (Roberto De Nart)

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