
Depositate lo scorso aprile le motivazioni relative al processo sul depistaggio dell’attentato, avvenuto in via Mariano D’Amelio, a Palermo, il 19 luglio del 1992, contro il giudice Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta.
A distanza di trentuno anni, finalmente, possiamo scrivere senza timore di smentita che quella strage fu una “strage di Stato”.
In un imbarazzante silenzio mediatico oggi alcune verità storiche sono state definitivamente fissate, seppur accompagnate da inquietanti interrogativi che aspettano ancora delle risposte.
La sentenza in questione venne emessa dalla procura di Caltanissetta il 12 luglio del 2022 e a distanza di nove mesi, aprile del 2023, alla vigilia di Pasqua, sono state depositate le motivazioni, oltre 1400 pagine, da cui emergono tre punti salienti, messi nero su bianco dai giudici nisseni.
Tre passaggi, a dir poco inquietanti, che rappresentano il punto di partenza per sviluppare qualsiasi approfondimento su uno dei periodi più bui che ha vissuto il nostro Paese.
In primo luogo la Corte ha confermato le conclusioni a cui era giunto il procedimento noto come “Borsellino quater”, ovvero che l’agenda rossa di Paolo Borsellino non è stata fatta sparire da Cosa Nostra.
L’altro elemento ancor più drammatico, che emerge nella lettura che ne danno i giudici, che i sono occupati del depistaggio e quello che alla strage hanno partecipato entità, soggetti, estranei a Cosa Nostra.
Qui il riferimento al settore “istituzionale” emerge con maggiore chiarezza e forza, sostenuto da un insieme di elementi che spingono a considerare questo drammatico scenario oltre la dimensione della pura ipotesi.
Infine, altro dato oggettivo che viene evidenziato nelle motivazioni e che va letto contestualmente agli altri due e che la polizia depistò le indagini attraverso la creazione del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Lasciando il momento dell’approfondimento al prossimo appuntamento, voglio porre l’attenzione dei nostri lettori a quanto scrivono i giudici della procura di Caltanissetta in merito alla preparazione della strage di via D’Amelio.
Non vi è dubbio che i 57 giorni che separano la strage di Capaci con quella di via D’Amelio non rientrava nella logica, nel “modus operandi” di Cosa Nostra.
Cosa Nostra non aveva nessun interesse ad uccidere due alti magistrati a distanza di meno di due mesi.
Cosa Nostra sapeva bene che la strage, ove perse la vita il giudice Borsellino e gli agenti di scorta, avrebbe portato lo Stato a reagire, come per fortuna fece, inasprendo le misure sul carcere duro previsto per i detenuti accusati di mafia.
Ma come scrivono i giudici nisseni vi sono altri “elementi utili” che vanno a dare concretezza “alla tesi della partecipazione, morale e materiale, di altri soggetti estranei a Cosa Nostra oltre a gruppi di potere interessati all’eliminazione del giudice Paolo Borsellino”.
Quindi la strage di via D’Amelio non può essere letta in un contesto, che risulterebbe davvero limitativo, della sola vendetta mafiosa contro l’ultimo simbolo della lotta contro Cosa Nostra in Sicilia.
In altri termini a volere la morte di Paolo Borsellino non è stato solo Totò Riina con le “famiglie” mafiose a lui legate.
Il contesto è molto più ampio e comprende vasti settori delle “istituzioni” a cominciare dalla politica, dall’imprenditoria, da una parte della magistratura, dei servizi segreti, fino a spingersi ad ambienti certamente legati alla massoneria cosiddetta deviata.
In quest’ottica potrebbero leggersi le deposizioni del pentito di mafia Antonino Giuffrè, uomo di vertice di Cosa Nostra, capomandamento della “famiglia” mafiosa di Caccamo nonché membro della Commissione provinciale di Cosa Nostra di Palermo.
Giuffrè parla di “sondaggi” effettuati da Cosa Nostra, prima che l’organizzazione mafiosa sposasse la strategia stragista, effettuati con importanti personaggi del mondo politico ed imprenditoriale.
Del resto come non leggere le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, che occupò una posizione di vertice all’interno di Cosa Nostra fino a rappresentare la “famiglia” mafiosa di Brancaccio, nella direzione della partecipazione morale e materiale di soggetti estranei alla mafia che avevano l’interesse alla eliminazione di Borsellino.
Spatuzza raccontò ai giudici del Borsellino quater” della presenza di un terzo uomo, estraneo a Cosa Nostra, che partecipò alla fase della consegna della Fiat 126 imbottita di esplosivo poi utilizzata in via D’Amelio.
Un personaggio rimasto ancora avvolto nel mistero, che non era conosciuto neanche dallo stesso collaboratore di giustizia e che secondo giudici non può che avere una appartenenza “istituzionale”.
Grazie a Spatuzza oggi si è potuto disvelare il depistaggio che si era creato attorno al falso pentito Vincenzo Scarantino.
Ma il simbolo di questa sporca faccenda italiana è simboleggiato dalla sparizione dell’agenda rossa.
Vicenda di cui ci occuperemo nel prossimo approfondimento. Un furto di cui non può, senza nessun dubbio al riguardo, considerarsi responsabile Cosa Nostra perché si tratterebbe di un’operazione ad hoc che non poteva che essere eseguita da professionisti che in pochi minuti fecero sparire l’agenda di Borsellino che avrebbe potuto cambiare la storia processuale sui fatti avvenuti quella maledetta domenica del 19 luglio 1992.
Prof. Guglielmo Bongiovanni