Confartigianato Donne Impresa ha presentato in questi giorni una serie di dati sul lavoro e sull’imprenditoria femminile molto interessanti e dettagliati anche per la provincia di Belluno, che si distingue per avere un tasso di inattività femminile a livello europeo intorno al 35%. Un bel risultato, se si pensa che lo stesso tasso nel Veneto arriva al 41,5% e in Italia addirittura al 48,5% e così Belluno è ai primi posti nella classifica nazionale per province. Almeno dai dati elaborati da Confartigianato sembra che per le donne sia più facile lavorare a Belluno, che altrove. Infatti, il tasso di occupazione femminile in provincia è arrivato al 60,8% (dati allo scorso anno), lo stesso valore raggiunto in Emilia Romagna e poco meno che nella Provincia Autonoma di Bolzano, dove si è registrato il miglior risultato di questo indicatore – 63% – quando la media italiana è al 46,5% .
Dando un occhio alla piccola impresa e all’artigianato in particolare, nel Bellunese sono 1.365 – vale a dire il 18,5% di tutti gli imprenditori – le donne che ricoprono cariche nelle imprese artigiane; 38.000 sono nel Veneto e poco più di 367.000 in Italia. A dire il vero, però, in provincia di Belluno non c’è una grande propensione delle donne a diventare imprenditrici artigiane: nella classifica generale la nostra provincia risulta al 75° posto, su oltre cento province e negli ultimi mesi l’andamento è negativo.
In Italia, circa il 49% delle donne è titolare e un altro 27% sono invece socie. In Veneto non c’è grande diversità tra le due posizioni che si attestano entrambe intorno al 42% ciascuna.
A Belluno sono le ditte individuali a prevalere tra le imprenditrici artigiane e rappresentano il 23% del totale delle donne occupate come titolari, ma numerose sono anche le socie, che in prevalenza operano nell’impresa di famiglia, confermando il ruolo spesso coincidente tra questa istituzione e la piccola impresa.
Più in dettaglio per quanto riguarda la provincia di Belluno, quasi il 20% delle donne titolari di aziende artigiane opera nel manifatturiero, il 70% è nei servizi alla persona, il 9% nei servizi alla imprese, mentre poco meno del 2% è nelle costruzioni, frutto di scelte personali che hanno portato a mettersi in proprio oppure a inserirsi nelle realtà aziendali esistenti nell’ambito della famiglia e quindi patrimoni da proseguire.
Ma per tutte c’è un problema comune: un basso tasso di investimenti nei servizi di welfare e la difficoltà di far conciliare i tempi professionali con quelli di cura della famiglia, una condizione nota e che pone il nostro Paese nelle posizioni basse della classifica europea.
Secondo l’Ufficio studi di Confartigianato, la spesa pubblica per la famiglia – nel 2011 – è stata pari a 20,7 miliardi di euro; mentre nel periodo 2007-2011 la spesa per la famiglia è la componente cresciuta meno, vale a dire solo il 6,9% della spesa complessiva per il welfare in Italia.
Malgrado questa situazione il nostro Paese riesce a detenere la leadership in Europa per il maggior numero di imprenditrici e lavoratrici autonome, con oltre un milione e mezzo di donne al comando di imprese, di studi professionali e lavoratrici indipendenti.