Pubblichiamo la lettera di Paolo Bampo indirizzata ai cittadini, ai politici ed agli amministratori bellunesi circa un anno fa, “quando ancora a parlare di abolizione della Provincia non era Monti, ma la necessità di demagogia di qualche politicante, ora costrettto magari ad una frettolosa retromarcia dall’avverarsi della situazione che ha evidenziato i limiti sociali e politici della proposta”.
Le nostre montagne nel passato ci hanno difeso e ci hanno cullato. A volte ci hanno nuociuto ed altre ucciso. Oggi però, pur rappresentando ancora fonte di qualche disagio e disparità, risultano essere spesso una risorsa economica. Inoltre, grazie alle vie di comunicazione stradali ed informatiche e fatta eccezione per la diffusa volontà di auto isolamento, le crode non ci separano più irrimediabilmente dal resto del mondo.
Un tempo in montagna esisteva un forte spirito di solidarietà tra le popolazioni delle varie vallate. Quando le famiglie si riunivano in villaggi, non era a caso, ma per poter condurre la propria vita in un sano mutualismo. Le “Regole” sono state, inoltre, la autoctona sintesi organizzata dell’istinto di sopravvivenza e di un miglior vivere. Era necessario che tutti facessero la propria parte per proteggersi dalle avversità atmosferiche, climatiche, ambientali ed umane. Tutti erano utili a tutti ed insieme venivano affrontati i nemici di qualsiasi genere. Giovani e meno giovani aiutavano le nuove famiglie anche a costruirsi la casa e nessuno si sottraeva dall’intervenire quando vi era la richiesta di aiuto da parte di un componente della comunità. Ora il progresso ha sopperito quasi ad ogni necessità umana. La gente non ha più bisogno di far squadra per la propria sopravvivenza ed ha quindi smarrito l’abitudine a farlo anche per altri motivi. L’uomo ha il tempo per trovare mille ragioni di divisione e rivalità: sportiva, economica, religiosa e politica. Il benessere e le comodità hanno fatto assopire il senso di autodifesa e quello di comunione negli scopi e negli intenti. Si scelgono referenti e protettori esterni piuttosto che privilegiare alleanze interne. Si dissipa così la forza dell’unità. In pratica: non siamo più capaci di stare insieme per difenderci. Abbiamo perso la potenza dell’urto che la compattezza della vecchia struttura sociale assicurava. Il tifo quasi sportivo che oggi traspare dall’appartenenza politico ideologica, ci acceca (negazione della verità) e ci porta alla divisione in schieramenti. Invidia ed individualismo, inoltre, troppo spesso ci causano gravi ferite da autolesionismo. E’ quasi scomparso il senso di appartenenza territoriale associato a quello di comunità. La politica dei nostri rappresentanti non è più quindi tesa al bene della società locale, ma guarda ad interessi lontani dai nostri. Subiamo la penetrazione di poteri esterni che ci divide. Non siamo mai stati aggressori, ma, in una sorta di corporazione montanara, abbiamo invece sempre saputo difenderci dalle aggressioni esterne grazie alla generale convergenza di pensiero e di azione e alla concentrazione di tutti sulle priorità non individuali. Ora non più. Siamo incapaci di avere obbiettivi unitari e di esercitare una sana aggregazione. Abbiamo, così poco amor proprio e così scarsa autostima da giungere persino ad un languido masochismo.
Oggi si levano alte le grida di insofferenza, ma non riusciamo a individuare la causa della sofferenza e la corretta strategia difensiva. Stiamo subendo una subdola aggressione, rappresentata dalle medesime ideologie entro le quali ci siamo rifugiati, dopo aver delegato ai partiti che le incarnano, quasi ogni decisione sul nostro destino. Un tempo ci si arrampicava sulle montagne per difenderci dal nemico umano. Si faceva delle nostre cime, le naturali barricate contro l’aggressore. Oggi abbiamo creato delle barricate artificiali su cui ci arrampichiamo per combattere tra di noi, dopo esserci arresi al “sistema”. Siamo incapaci di ritrovare e rinnovare il giusto spirito di comunione. Non agiamo più come una comunità, ma come tanti nemici di noi stessi. Siamo l’un contro l’altro armati, in difesa di un feticcio fittizio (lo schieramento politico) e non del territorio o del residente. Il nemico (governo, partiti, istituzioni centrali, ecc.) gode, applicando il motto romano “divide et impera”, dopo aver mutato le questioni della nostra terra in mero terreno di scontro socio-politico.
Anche l’Autonomia che doveva essere il collante strategico di un sogno è divenuto motivo di scontro sui suoi contenuti, tanto da indurre qualcuno ad affermare che essa sia impossibile. Dobbiamo tornare a pensare in positivo. Se veramente vogliamo guadagnare l’Autonomia, è ora di scendere dalle barricate e di stringere un patto tra abitanti di un territorio che vogliono tornare ad essere comunità (se non proprio popolo unito). Basta con la litigiosità e l’infantilismo degli insulti tra amministratori. Basta con il lancio incrociato di dispersive accuse di incapacità o di responsabilità individuali. Basta con l’attendismo, l’immobilismo e la conseguente politica dell’emergenza , che impedisce di programmare e gestire e ci obbliga, così, a dipendere sempre dal soccorso degli altri e dalle loro decisioni.
La proposta di riconvocazione degli Stati Generali della provincia e la proposta di una Costituente provinciale , come anche l’invito alla creazione di un partito unitario del territorio (simile alla Volkspartei di Bolzano) vanno in tal senso. Altro che cancellare la Provincia. L’autonomismo bellunese ha lanciato il sasso.
Paolo Bampo (bampop@libero.it)
26.10.2011