
La politica deve garantire i diritti dei cittadini, non già gli interessi di cordate multinazionali. Lo ha detto anche un distinto signore che in genere veste di bianco, e che dovrebbe essere molto vicino ai convincimenti di Prade, un certo Joseph Alois Ratzinger, che intervenuto all’apertura del vertice Fao a Roma lunedì ha detto: “È necessario maturare una coscienza solidale, che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni”. In Italia pare che ancora 8 milioni di cittadini non abbiano accesso all’acqua potabile e 18 milioni bevono acqua non depurata. Dubitiamo che i gestori privati si facciano in quattro per risolvere questi problemi, se non vedono il ritorno economico. Di più. La Parigi di Nicolas Sarkozy (anche lui vicino, questa volta politicamente, a Prade) si avvvia alla ripubblicizzazione dell’acqua. Il caso di Aprilia (Latina) del 2004 dove la liberalizzazione provocò aumenti dal 50% al 330%! E allora come fa Prade ad essere tanto indulgente con il governo?
“Il provvedimento sull’acqua contenuto nel decreto Ronchi non è affatto una privatizzazione. – afferma Prade – L’acqua rimane espressamente un bene pubblico ma il servizio viene liberalizzato grazie al meccanismo delle gare. La proprietà pubblica degli impianti rimane tale laddove è pubblica. Io invece sono molto perplesso su questo provvedimento non certo per ragioni ideologiche ma perché rischia di travolgere una delle esperienze più significative realizzate nel territorio bellunese negli ultimi anni, ovvero l’affidamento del servizio idrico integrato a una società – BIM Gestione Servizi Pubblici – controllata dallo stesso BIM. Il BIM, per intenderci, sono i Comuni bellunesi dove ognuno conta per uno. Una bella pratica di democrazia che sta dando i suoi frutti e che gli anni prossimi, Roma permettendo, potrà perfezionarsi ancora. Avversata da molti, anche in tribunale, oggi questa scelta dei Comuni bellunesi appare quasi preveggente: l’acqua è pubblica ma la sua gestione, proprio come bene pubblico essenziale, deve essere oculata, garantita contesti organizzativi efficienti e prevedere un ultimo controllo dell’ente territoriale di riferimento, cioè il Comune.
Il decreto Ronchi, dunque che altro non è se non una legge approvata in fretta e furia per evitare pesanti sanzioni da Bruxelles, se nulla cambia sulla natura pubblica dell’acqua, rischia di spazzare via la scelta fatta dai nostri Comuni, tra questi anche il Comune di Belluno. Per una volta che eravamo riusciti a fare qualcosa bene! Vuol dire che quando, il prossimo 2 dicembre, in occasione della manifestazione che i Sindaci veneti faranno a Roma per ricordare al Governo di esistere (e speriamo che i Sindaci Bellunesi siano tanti), aggiungeremo anche questo punto all’ordine del giorno delle nostre rivendicazioni. Diremo che lascino perdere perché sull’acqua abbiamo dimostrato di saperci fare, e bene. Ancora, diremo che il federalismo – che per me significa maggiori poteri e risorse agli enti territoriali che vogliono prendersi le loro responsabilità – dopo averlo introdotto nei testi di legge e nei discorsi, occorre praticarlo per davvero. Se no, quando è che cominciamo?