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Presentazione del romanzo “Cento Madri”, giovedì Lentini e Franchi alle edizioni Colophon a Belluno

Giovedì 22 ottobre alle 18,30, nella sede delle Edizioni Colophon, si svolgerà la presentazione del romanzo
“Cento madri” di Alfonso Lentini (Foschi editore 2009), libro vincitore del Premio Città di Forlì, a cura di Francesco Piero Franchi con la partecipazione dell’autore. Pubblichiamo la recensione del giornalista della Rai, Gian maria Molli:
Il “delitto” del siciliano
Alfonso Lentini, poeta, saggista, narratore, è anche pittore. Questa sua collaterale vocazione artistica è ben presente nel suo ultimo lavoro letterario, Cento Madri, che esce a distanza di quattro anni dal romanzo Un bellunese di Patagonia, storia di un emigrante alla rovescia, e di sei anni da quell’autentico gioiello costituito dal Piccolo inventario degli Specchi, dove Lentini usa un oggetto, appunto lo specchio, per proporre una singolare storia del mondo, ma soprattutto per mostrarci il lato nascosto e oscuro dell’anima umana.
Anche in quest’ultimo romanzo c’è un mondo, quello delle Cento Madri, racchiuso in una grande casa in una regione geografica facilmente identificabile nella Sicilia, sia pure mai espressamente nominata tranne nel prologo (“profumo di mare siciliano”). E c’è una sorta di esplorazione delle profondità di un uomo, a partire dalla mitica infanzia di “principino”, circondato, protetto ma anche soffocato dalle madri del titolo, fino alla dolorosa, inevitabile decisione che sarà svelata solo nel finale del libro, ma preannunciata già nell’incipit: “Io, che ho commesso il delitto più atroce, ho avuto cento madri”. Un inizio che sembra ricalcare gli schemi consueti della narrativa di consumo con l’inserimento di una frase a effetto, che sarà più volte ripetuta con variazioni nel corso del libro, come per catturare e tenere viva l’attenzione del lettore. Ma si capisce presto che “il delitto più spaventoso della storia”, come lo definisce il narratore, sottintende uno stato d’animo: il rimorso, il complesso di colpa che attanaglia il “principino”, divenuto, rovesciando le fiabe, “scarafaggio” e “pidocchio”. Non a caso nella sua intelligente postfazione Paolo Ruffilli avverte: “Il lettore, fin da sùbito sorpreso e dirottato dall’autore perché rimanga sveglio e non si lasci plagiare dal racconto, non ci mette poi tanto a capire che la maternità che si dispiega nelle pagine è piuttosto il rapporto conflittuale con la terra madre …”.
L’autore, dunque, non invoglia a scoprire il “delitto”, pressoché scontato, che il protagonista commetterà alla fine con “un unico gesto”, ma affascina con il labirinto narrativo e pittorico della scrittura che si incunea nelle profondità del protagonista, alternando la prima alla terza persona singolare (talvolta la prima plurale), a sottolineare tanto la partecipazione quanto il dovuto distacco dalla materia trattata. Il pennello si congiunge alla penna sùbito dopo l’incipit per caratterizzare con un tocco di colore una delle Cento Madri: “Quella dalla labbra rosse”, che poi risulterà la vera madre, “la più appassionata”, ma che cullava male il bambino “perché tutte le sere piangeva: il marito la sgridava continuamente…”. Il lettore apprenderà in seguito che il marito è un’altra madre: la madre direttore. Esistono altre madri maschio, come la “madre a forma di colonna dorica”, che è “un prete coltissimo e occhialuto”, indispensabile per la formazione culturale del “principino”, essendo la madre direttore troppo impegnato a sgridare la madre effettiva e a curarsi malattie inesistenti. Ma il personaggio maschile di maggior rilievo non è una “madre”, bensì “l’uomo dalla pelle d’oro”, il minatore che di ritorno dalla miniera di zolfo dona frammenti di minerale al “principino” e canta con “voce rocciosa”  tragemi d’este focora, per te non ajo abento notte e dia (tirami fuori da questo calore, per te non ho pace notte e giorno). Sarà proprio lui a fuggire con la “madre” più desiderata, una madre cameriera, la “bellissima dagli occhi d’alchimia”, di cui il bambino è da sempre innamorato al punto da indulgere in fantasie erotiche.
Dopo aver dato il particolare delle labbra rosse, il pennello-penna traccia un insieme: “Il gruppo delle madri … vestite di nero stinto e gobbe”, che diverranno, quasi con rapidi segni di china “le madri dall’ossatura aviforme” o “grosse formiche” con “quei loro capini sormontati da invisibili antenne”. Si va avanti così a capitoli-quadri che ricordano la prosa d’arte del primo Novecento tanto la scrittura è raffinata, impreziosita da metafore (“le signorine profumate pronte a immergersi nel miele della passeggiata domenicale”), e percorsa da onomatopee, come durante il viaggio “su un autobus sghangherato” (capitolo 21), durante il quale il filo del dialogo dei passeggeri “si perdeva sopraffatto dai ronchi del motore in salita”. È proprio in questo capitolo che emerge prepotente, la lingua. Logico il ricorso a termini dialettali, peraltro assai parco e motivato da esigenze non tanto lessicali quanto ritmiche. Così “scricchiati”, riferito agli occhi, viene preferito all’italiano spalancati, o “acchianato” anziché salito (“Il sangue alla testa gli è acchianato a quelli”). Sparsi nel libro si fanno notare “risolenti” per sorridenti, “filinìa” per ragnatela, “trazzera” per strada bianca, “ciàule” per taccole, “arraggiati” per rabbiosi.
In conclusione un romanzo in cui, come sempre in Lentini, la forma non soggiace al plot, anche se qui non viene meno la voglia di narrare raccontando il “delitto” che ogni siciliano (autore compreso, a dispetto della nota finale) compie quando con “un unico gesto” spezza il cordone ombelicale che lo lega alla sua terra. Un “delitto” che lascia scie di amarezza, dolore, un profondo senso di colpa, mitigati però dalla certezza di avere comunque fatto la scelta giusta.

Gian Maria Molli

Alfonso Lentini
Cento Madri
Romanzo
Foschi Editore
(Euro 11,90, 2009)

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