“Per arrestare declino e spopolamento è necessario dare delle prospettive di futuro alle persone; si deve partire da un progetto strategico, pensato non a livello di singolo Comune, ma in un’ottica più vasta che preveda azioni mirate e precise a partire dal tessuto economico attuale. Proprio nel contesto bellunese, in cui si sta assistendo ad un consistente spopolamento accompagnato da una drammatica desertificazione imprenditoriale, diventa necessario ed estremamente importante mettere in atto una programmazione strategica orientata allo sviluppo.
L’intera società civile, sia gli attori privati che pubblici, devono farsi carico di questo problema per invertire la tendenza in atto e impedire che il declino sociale divenga irreversibile”.
Lo sostiene Irma Visalli, architetto, già assessore alla pianificazione strategica della Provincia di Belluno.
“Parto dalle parole conclusive dello studio fatto dalla CGIA per la Provincia – dichiara Irma Visalli – per chiedermi perché non si aggiorni, senza ulteriori spese, il Piano strategico della Provincia esistente dal 2007.
In esso vi sono le identiche premesse dello stato attuale, indubbiamente peggiorato proprio perché quel progetto, prodotto e condiviso con le componenti sociali, economiche ed istituzionali della provincia non è stato attuato.
Viene spontaneo chiedersi, conoscendo la storia (ricordate la battaglia e il ricorso dei sindaci al PTCP), se la resistenza alla sua piena attuazione fu solo una questione politica ,non certo quella con la P maiuscola. Se quindi, fu deciso di fare come non esistesse solo perché era associabile ad una stagione amministrativa e forse anche al nome del leader che ne fu il protagonista.
Ma quello che è certo è, che oggi non pensabile rimanere ancorati a questo.
Sergio Reolon è morto. Si può accantonare la battaglia contro di lui e l’avversità delle parti.
Si può, e a mio avviso si deve, riprendere in mano l’unico piano strategico esistente. Anche per evitare perdite di tempo e soldi pubblici.
Credo che, nel Piano strategico, naturalmente da aggiornare proprio grazie ai nuovi dati dello stato di fatto, vi siano progetti e linee che sono esattamente in linea con quanto oggi emerga.
E questo è naturale che sia proprio perché un piano strategico non tratta il contingente ma un futuro di medio lungo termine. Quello che oggi ancora viviamo.
Se ci si prende la briga di guardare anche solo le tabelle in cui vengono raggruppati gli obiettivi strategici e le azioni si potrà constatare che non abbiamo bisogno di partire sempre dall’anno 0.
Abbiamo perso dieci anni, verissimo. Per solite piccinerie umane e freni personalistici e localistici. Vero. Ma ora basta.
Prendiamo in mano l’unico strumento strategico esistente. Rivediamolo con i dati dello studio del Cgia di Mestre, aggiorniamo le schede progetto alla luce di cose importanti successe (vedi fondi Odi, legge 25 e quant’altro) e procediamo, coesi e senza questioni di parte.
Il Piano strategico fu allora una grande impresa collettiva e si trattarono questioni ancora vigenti.
Gli attori fisicamente sono cambiati – conclude Visalli – ma quello sguardo lungo sul futuro è più vivo e presente che mai. Non buttiamo di nuovo e come sempre bambino con acqua sporca”.