Qualche tempo fa osservavo come – in ordine alle centraline contestate – ci aspettavamo determinazioni utili a tutelare l’ambiente del pianeta che ci ospita, per garantire le nostre risorse anche alle generazioni future.
Chi pensa si possano trovare intese attraverso minacce di querele, dovrebbe invece ricordare (ma forse è troppo giovane per poterlo fare) qualche avvenimento degli ultimi cinquant’anni e come questi siano oggi determinanti nel far nascere in molti di noi l’idea di inutilità delle nuove progettazioni di centraline e della necessità, invece, di ricercare le possibilità alternative oggi esistenti.
Senza ricorrere – ma non per questo dimenticare – la tragedia del Vajont, ci sono moltissimi altri esempi (per fortuna senza provocare tragedie di morti e feriti) che ci dicono come la costruzione di nuovi impianti sia decisione ormai fuori tempo e da abbandonare per orientarsi verso altre forme naturali che consentono l’approvvigionamento
della corrente elettrica. Allora basterebbe ricordare, come dicevo prima.
Qualche giorno fa, transitando per il Passo Resia, mi sono fermato – come tantissima altra gente fa spesso – presso il lago di S. Valentino alla Muta, dove la cima del vecchio campanile di Curon emerge dalle acque. Si scattano foto bellissime, ma alcune didascalie ricordano come, per costruire la diga, fu necessario radere al suolo completamente quel centro abitato e parzialmente quello di Resia, e che 523 ettari di terreno coltivato a frutta furono sommersi. Si tentò di ricostruire l’antico abitato più a monte, ma il 70% della popolazione emigrò. Fu cosi sradicato un territorio e una piana altamente coltivabile.
Esempi come questo ce ne sono moltissimi altri, da noi basti ricordare il lago del Corlo (Arsiè). E per questo molti di noi insistono per utilizzare le energie alternative e non dissipare, tanto o poco, i nostri territori. Per esempio, tra le tante che conosciamo, ne aggiungo una forse poco conosciuta: nel 2014 i ricercatori dell’ Eurac di Bolzano hanno condotto uno studio di fattibilità per valutare il potenziale di “isole fotovoltaiche galleggianti” sul lago, proprio quello sopra richiamato. Secondo lo studio la superficie di un lago in alta montagna potrebbe essere sfruttata per produrre energia.
E allora non serve minacciare querele, ma bisogna indirizzare la Società Bolzanina, bramosa di nuove centraline sfruttando le già scarse acque territoriali, verso quelle possibilità che le nuove tecnologie e le nuove scoperte consentono. E ricordare che il territorio di loro provenienza è dotato di molti laghi nonché di fiumi pieni di acqua (a differenza dei nostri).
Come mai non cercano di costruire nuove centraline nel loro territorio volendo invece deturpare quello degli altri? La risposta è davvero semplice e la lascio all’intelligenza di chi legge. La stragrande maggioranza della popolazione bellunese non vuole le nuove centraline, perché non ne sente assolutamente il bisogno. E allora, se è vero che la volontà territoriale nella nuova idea di politica ha un valore determinante, si abbandoni questo progetto non condiviso e si affrontino altre strade, pur possibili, con il consenso della popolazione locale.
Primo Torresin