
“Non è stata ancora fusa la pallottola per me” e ancora “Tiratori principianti” riferito ai cecchini austriaci. Sono le ultime sprezzanti parole attribuite al generale Antonio Cantore, rivolte ad un soldato che lo invitava a ritirarsi in trincea. E’ il pomeriggio del 20 luglio 1915 a Forcella Fontana Negra, nelle Tofane, quando il generale, impassibile a due proiettili che gli fischiano vicino, cade colpito mortalmente da un terzo colpo che lo centra in fronte. Nato a Sampierdarena (Genova) 55 anni prima, il “Padre degli Alpini” si era già fatto notare per il coraggio nella Guerra di Libia dove comandava il Rgt. Speciale Alpino formato dai Btg. Susa, Vestone e Tolmezzo. Poi, all’inizio della Prima guerra mondiale, si conquista sul campo la seconda stella di generale di divisione (maggior generale), in seguito alle azioni brillanti sul Monte Baldo nel maggio del 1915 e viene quindi assegnato sul fronte delle Tofane, dove battaglioni interi pare si fossero rifiutati di combattere. Secondo la versione non ortodossa, la fama di Cantore tra la truppa era quella di un fanatico, che li avrebbe certamente condotti alla morte. Oltre al fatto che il generale aveva in mente un piano d’evacuazione inviso dalla popolazione di Cortina d’Ampezzo. Questi sarebbero i moventi che avvalorerebbero l’uccisione per mano italiana e quell’altra diceria, secondo cui i soldati italiani festeggiarono per una settimana la morte dell’alto ufficiale. Da una parte, dunque, la storia ufficiale di un “esempio costante e fulgido di indomito ardimento alle sue truppe” e dall’altra “radio scarpa” e dicerie di paese che demoliscono la figura “dell’anima eroica degli Alpini, salda come le rupi che lo videro cadere colpito in fronte, ardente come la fede per cui morì”, come recita l’epigrafe sul poderoso obelisco eretto in sua memoria a Cortina d’Ampezzo.

A distanza di quasi 90 anni, non è nemmeno possibile determinare se fu un proiettile calibro 8 mm. proveniente da un Mannlicher austo-ungarico di un cecchino nemico, oppure un calibro 6,5 mm. esploso dal ’91 di un italiano a forare la visiera in cuoio del kepì del generale. Forti dubbi permangono addirittura sul luogo dell’evento, come sostiene lo storico ampezzano Paolo Giacomel “Perché mai a Forcella Negra il nemico avrebbe risparmiato gli altri 4 ufficiali che erano sotto tiro assieme a Cantore? E perché nella motivazione dell’onorificenza concessa al capitano Adolfo Argentero di Verona, datata 21 luglio del 1915 (il giorno dopo l’uccisione di Cantore), per aver recuperato la salma del suo comandante, non si nomina nemmeno il generale”? “E’ vero che il foro della visiera oggi misura 6,5 mm – sostiene l’esperto d’armi Gianrodolfo Rotasso – ma considerato che il cuoio con il tempo si restringe, è ragionevole supporre che ad attraversarlo in origine sia stato un proiettile calibro 8 mm del Mannlicher austriaco. L’unica cosa assolutamente certa è, che per colpire con una precisione sconcertante un bersaglio mobile alla distanza di poco meno di 200 metri, dall’alto verso il basso, dunque prevedendo il calo del proiettile, il cecchino dev’essere stato un tiratore formidabile, prosegue Rotasso. Tanto più che stiamo parlando di un proiettile di vecchia concezione, cilindrico, pesante e tozzo, con traiettoria poco tesa, derivato dal vecchio calibro 8 a polvere nera”. Allora potrebbe essere verosimile la dichiarazione resa in punto di morte una trentina d’anni fa da un certo Enrico Berlanda di Levico Terme (Trento), che all’epoca combatteva dalla parte degli Austo-ungarici, e dunque, non aveva alcun motivo di rivelare d’esser stato colui che aveva ucciso il famoso generale Padre degli Alpini, se non in punto di morte appunto. Sicuramente Berlanda possedeva le doti di buon tiratore, infatti risulta che fu insignito dell’Aquila d’argento alle gare di tiro militari di Vienna. “Ma vi furono perlomeno altre quattro rivendicazioni in tal senso”, commenta Paolo Giacomel, per il quale non esistono ad oggi sufficienti elementi che possano chiarire se a premere il grilletto sia stata una mano amica o nemica. E nemmeno la riesumazione e l’esame del cranio, che potrebbe chiarire una volta per tutte il calibro dell’arma, dopo tanti anni avrebbe più molto senso.
Roberto De Nart