Con il ritorno della “zona rossa” i saloni di bellezza, i negozi di parrucchiere e i centri estetici sono chiusi. «Ma c’è chi aggira le restrizioni e continua a lavorare in modo abusivo» denuncia Confartigianato Belluno, che chiede controlli serrati.
«Basta fare una veloce ricerca sul web per scoprire che il lavoro nero ha già aggirato il fermo imposto dalle regole sanitarie» afferma Ivana Del Pizzol, presidente di mestiere degli acconciatori di Confartigianato Belluno. «L’aspetto più grottesco è che le nostre attività, dove è tutto tracciabile e sottoposto a rigorosi protocolli di igiene e sicurezza già prima del Covid, vengono chiuse per evitare la diffusione del contagio, mentre gli abusivi della professione possono girare tranquillamente, portando il virus a domicilio alle clienti e ai clienti, senza nessuna restrizione».
«È per questo che chiediamo controlli serrati, perché non si tratta solo di concorrenza sleale, bensì di rischi concreti per la salute pubblica – aggiunge il direttore di Confartigianato, Michele Basso -. Gli abusivi, infatti, se ne infischiano delle regole e quindi anche delle misure normalmente adottate all’interno dei saloni».
Confartigianato prova a calcolare le perdite registrate nel 2020 dal settore del benessere e della bellezza. Perdite che si sommeranno a quelle delle settimane di “zona rossa”. «L’ultima domenica di zona arancione, in cui abbiamo potuto lavorare in deroga grazie alla richiesta di Confartigianato, abbiamo registrato la voglia delle persone di accedere ai nostri servizi e alle nostre attività. Ma ovviamente non basta – continua Del Pizzol -. Siamo reduci da un 2020 in cui le perdite variano dal -30 al -50%. Dicembre è stato un mese disastrato e il limite agli spostamenti in “zona arancione” ci ha fatto perdere diversi clienti. Servono ristori rapidi, calcolati sul calo di fatturato e non standardizzati sul codice Ateco, quanto meno per sopravvivere al momento drammatico. Ma soprattutto, abbiamo la necessità di non subire oltre alla chiusura anche il danno dell’abusivismo. Che – lo ripeto – rappresenta una concorrenza sleale per le nostre attività, ma anche un rischio per la salute collettiva».