Si è tenuta questa mattina in piazza dei Martiri la cerimonia di ricordo dell’eccidio avvenuto il 17 marzo 1945 in Piazza dei Martiri alla presenza del sindaco di Belluno Jacopo Massaro e del presidente ANPI Belluno Gino Sperandio. Come per le celebrazioni del 25 aprile dello scorso anno, gli interventi del sindaco e dello storico Daniele Ceschin sono stati realizzati solamente in video al link: https://youtu.be/uQ6y37hQL2s
Nel tardo pomeriggio di sabato 17 marzo 1945, 7 giorni dopo l’eccidio al Bosco delle Castagne, ebbe luogo sui lampioni in piazza Campitello, divenuta a seguito dell’episodio Piazza dei Martiri, l’impiccagione di quattro partigiani: Salvatore Cacciatore “Ciro”, siciliano 25enne, Valentino Andreani “Frena”, contadino di Valmorel, Giuseppe De Zordo “Bepi” di 42 anni oste a Castellavazzo e Gianleone Piazza “Lino”, 22enne bellunese.
Il 15 marzo 1945 nella stessa piazza tre gappisti (Gap, Gruppi di azione patriottica, i gruppi partigiani nati su iniziativa del Partito Comunista) comandati da Ferdinando Piazza “Sgiufa” spararono contro dei fascisti uccidendo Francesco (Franco) Lodati, e ferendo gravemente Mario Di Dio che morirà pochi giorni dopo. Per rappresaglia (La rappresaglia era ammessa dal Diritto internazionale del tempo di guerra di Ginevra, a condizione che ad eseguirla fosse un regolare esercito, che fosse stato attaccato da terroristi non in divisa. I tedeschi stabilirono il rapporto di 1 a 10, per ogni tedesco ucciso 10 italiani giustiziati).
I fascisti chiesero di applicare la regola 1/10 e per rappresaglia chiesero la testa di 20 partigiani. Il tenente Georg Karl, comandante della Sezione Gestapo di Belluno ne concesse quattro, che vennero prelevati dalla caserma D’Angelo a Mussoi (5° Artiglieria Alpina). I nazisti volevano che ogni condannato giustiziasse un compagno. Ma i partigiani si rifiutarono. I negozi chiusero, qualcuno fu costretto ad assistere all’esecuzione. Scrive Luigi Boschis, autore de “Le popolazioni del Bellunese nella guerra di liberazione 1943-1945”: “Il primo a salire la scala con ammirevole fermezza fu Salvatore Cacciatore, il quale si lasciò mettere il laccio al collo senza alcun segno di ribellione. Il grido di De Zordo, giunto quasi a metà scala, rivolto ai tedeschi inquadrati ed a poche persone rifugiate sotto i portici, fu: “Vendicatemi”. Sistematosi il laccio al collo, spostando poi il capo da destra a sinistra gridò: “Viva l’Italia”. Piazza salì sul patibolo e prima ancora che da sotto togliessero la scala, gridò “Viva l’Italia” e spiccò un salto nel vuoto rimanendo appeso, con le vertebre cervicali frantumate. Per ultimo, deciso e senza alcuna titubanza, salì l’Andreane”. All’improvviso ecco il vescovo Bortignon: “dopo un precipitato colloquio con un ufficiale tedesco, egli mandò dei preti alla vicina chiesa di S. Rocco a prendere gli olii santi, e, fattasi portare la scala, amministrò l’estrema unzione a ciascuno dei quattro morti, ciascuno baciando in fronte e dicendo: “È il bacio delle vostre famiglie”. Un fulgido gesto di pietà cristiana. Le salme rimasero appese ai lampioni fino a lunedì.
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