“Ricordo molto bene quel venerdì 21 febbraio 2020, era il mio turno di lavoro dalle 9.00 alle 21.00 presso la Divisione di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera di Padova. Sembrava un giorno di lavoro come tanti altri, ma all’improvviso nel pomeriggio, una telefonata, è in arrivo dal vicino ospedale di Schiavonia il primo paziente con diagnosi accertata di Covid, era un anziano di Vo’ che di li a poco sarebbe stata la prima vittima italiana della pandemia”.
Sono le parole del dottor Renzo Scaggiante Direttore Malattie Infettive dell’Ulss Dolomiti da marzo del 2020.
“Durante la notte e nei giorni successivi – prosegue il medico – le ambulanze si susseguirono fino a riempire in poco tempo tutti i posti letto del reparto, era iniziata la pandemia, quello che fino al quel momento vedevamo solo nei notiziari era arrivato.
Molti sono stati i momenti di sconforto, all’inizio nessuno sapeva quale fosse il migliore approccio terapeutico, gli stessi organi internazionali diramavano indicazioni in continuo cambiamento e poi la impossibilità per i familiari, quasi sempre in isolamento domiciliare, nel poter assistere o per lo meno vedere i propri cari, una situazione di impotenza davanti ad una cosa che nessuno immaginava potesse succedere.
Con il tempo e le iniziali terapie efficaci ci sono state le prime dimissioni di persone guarite, persone che arrivavano gravi in terapia intensiva e che ne uscivano migliorate, fino a poter riabbracciare i propri cari, momenti di sconforto per chi non riusciva a farcela e momenti di gioia per chi poteva finalmente ritornare a casa, l’ottimismo della scorsa estate quando quasi tutti i reparti covid sono stati chiusi ed il risveglio autunnale con l’inizio di una nuova fase epidemica.
Dobbiamo imparare, ma forse bastava guardare la storia (la peste a Venezia nel 1630, la spagnola del 1915), che le epidemie e le pandemie sono sempre esistite – conclude Scaggiante – e ciclicamente si ripresentano”.
“È stato un anno impegnativo. Il Covid-19 ha determinato rilevanti problemi sanitari, che hanno coinvolto, anche dolorosamente, molte persone”.
Lo dichiara Stefano Calabro, direttore della Pneumologia di Feltre.
“Successivamente si sono aggiunte le importanti conseguenze economiche, che a tutt’oggi permangono e non dimentichiamo i rilevanti secondari impatti psicologici, che hanno coinvolto soprattutto, ma non solo, i giovani.
Il problema purtroppo permane – prosegue il dottor Calabro – ed ora dobbiamo anche affrontare le varianti del virus, ma con responsabilità, resilienza ed impegno collettivo ritengo ne potremo senz’altro uscire.
Certo occorre che tutti facciano la propria parte; mi riferisco al mantenimento del distanziamento fisico, quando necessario, all’utilizzo delle mascherine e ovviamente all’adesione alla vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19.
Il sistema sanitario in questa fase, rispetto all’inizio della pandemia, è ben strutturato ed operativo; anche questo è un elemento importante che ci fa essere cautamente ottimisti.
La prima fase della pandemia è stata difficile e molto impegnativa.
E’ stato subito organizzato un percorso per il paziente COVID-19, che partendo dal Pronto Soccorso si articolava fino alla Terapia Intensiva.
In breve tempo abbiamo convertito la nostra Unità operativa di Pneumologia a Centro per l’assistenza ai pazienti con COVID-19, come da indirizzo regionale.
In seguito nell’Ospedale di Feltre si sono identificate aree di degenza diversificate in base alla gravità clinica dei pazienti con COVID-19.
Molti medici ed infermieri dell’area medica e anche chirurgica dell’ospedale hanno collaborato per rendere possibile un’assistenza diversificata per questi pazienti.
Noi, come pneumologi, abbiamo assistito i casi gravi che richiedevano anche ventilazione meccanica non invasiva.
Devo ringraziare i medici, gli infermieri e gli operatori socio-sanitari della Pneumologia per il costante impegno assistenziale, che continuano a garantire con professionalità e umanità.
Quale è stata la soddisfazione più grande?
Come direttore la soddisfazione più grande è stata verificare la capacità di risposta positiva della mia azienda socio-sanitaria e della mia struttura ad un improvviso stato emergenziale.
Altra soddisfazione è l’aver constatato la vicinanza della popolazione.
Sapevamo che fuori l’ospedale eravamo sostenuti; questo è stato importante nella prima fase, che è stata difficile e impegnativa.
Sostegno che si è anche concretizzato con donazioni di apparecchi medicali. La popolazione ha espresso in questo periodo un chiaro sostegno a chi opera nel sistema sanitario sia ospedaliero, sia territoriale. È un segnale che ci ha aiutato molto.
Per me – conclude Calabro – che credo fortemente nel ruolo della assistenza sanitaria pubblica e del suo necessario legame con il territorio, questo è un aspetto molto importante.