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Fornero senza freni a Col Cumano. “Pensioni quota 100 non sostenibile. Giocheranno due partite, quella della propaganda con l’elettorato, e quella con l’Europa minimizzando l’aumento della spesa”

Santa Giustina (Belluno), 23 novembre 2018  –  Fallimentare tornare alla lira. Quota 100? Inattuabile! Sarebbe come aggravare il deficit al bilancio dello Stato. I politici? Sono ancora dei privilegiati. E gli esodati? Certo, si poteva fare meglio, ma al ministero non esistevano stime attendibili sul loro numero. All’epoca le piccole aziende non avevano l’obbligo di comunicare i prepensionamenti. Risponde così alle domande del pubblico Elsa Maria Fornero, economista, accademica ministro del lavoro e delle politiche sociali, con delega alle pari opportunità, nel governo Monti, dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013 intervenuta venerdì sera a Col Cumano per la presentazione del suo libro “Chi ha paura delle riforme” con moderatore Michelangelo De Donà.

L’ex ministro, professoressa universitaria ordinaria dal 2000 di Economia politica alla Scuola di management e economia dell’Università di Torino, spiega con termini accessibili a tutti le pensioni, i sistemi pensionistici, la riforma. Racconta del ciclo della vita del Premio Nobel Franco Modigliani, partendo dalle origini, dal 1600 in Francia dove nascono le pensioni, quindi il movimento cooperativo in Italia di fine ‘800, primi del ‘900 e le società di mutuo soccorso. Non risparmia le sue frecciate a Salvini e Di Maio. “Se io oggi chiedessi spiegazioni ai due vicepremier sulle pensioni, probabilmente non mi saprebbero rispondere”.

La Fornero ripercorre i passaggi chiave delle riforme intervenute negli ultimi decenni in Italia. Quella del 1992 di Amato, quando la lira perdeva valore sul marco tedesco e bisognava intervenire. E’ l’anno della finanziaria che contiene il prelievo forzoso sui conti correnti, ma aveva tempi di attuazione troppo lunghi. Nel 1994 c’è un ulteriore tentativo di rigore, non riuscito, di Bersani ma cade il governo. Nel 1995 ci riesce Dini che modifica il calcolo delle pensioni da retributivo a contributivo per chi ha meno di 18 anni di contributi. Ma ancora la stretta non è sufficiente. Si arriva all’estate 2011, con la Germania che pagava interessi al 2% sui suoi titoli decennali e noi eravamo costretti a pagare il 7,5% d’interesse per renderli appetibili ai mercati. Crolla la credibilità dell’Italia, siamo sull’orlo di una crisi finanziaria. Interviene la Bce a presidenza Trichet e vicepresidente Draghi i quali nell’agosto 2011 inviano la famosa lettera al governo italiano nella quale si chiede la riforma delle pensioni e del mercato del lavoro. “Ma il Paese – ricorda la Fornero – non era pronto a cambiare strada”.

Il presidente della Repubblica chiama i leader politici mettendoli dinanzi ad una scelta, o si va al voto oppure si prosegue con un governo tecnico.  Passerà la seconda opzione.  L’ex ministro Elsa Fornero ricorda perfettamente quei momenti: “C’era chi parlava di complotto, io non credo. Alle 9 e mezza di sera del 15 novembre 2011 mi telefona Monti, che conoscevo dall’Università, per chiedermi di fare il ministro del Lavoro. Avrei dovuto decidere quella sera stessa entro le ore 11.  Accetto, ma il giorno dopo, da Roma, non si muove nulla. Allora invio un messaggio a Monti chiedendo: confermato? E lui mi risponde: confermato! Dopodiché mi dà tempo 2 settimane, al massimo 20 giorni per fare la riforma delle pensioni. Mancavano i soldi per pagare gli stipendi e non si poteva emettere moneta. Bisognava agire subito. Ecco quindi il ‘Decreto Salva Italia’.

Avevo creduto – prosegue la Fornero – alla volontà del Paese di lasciarsi alle spalle 20 anni di politica sterile tra berlusconiani e anti berlusconiani. Un tentativo lo fece Romano Prodi, ma non ci riuscì. Avrebbe potuto essere una strada nuova. E invece seguirono gli anni del risentimento, che non possono favorire la crescita del Paese”.

Sollecitata da una domanda dal pubblico su come i sacrifici vennero caricati sui lavoratori e nulla sui politici. la professoressa Fornero conclude così il racconto di quei momenti a Palazzo.

“Mi rivolsi al presidente della Camera Gianfranco Fini, dicendo che stavamo per varare una riforma molto severa e che anche i politici avrebbero dovuto dare un segnale. Noi l’abbiamo già fatto mi rispose. Ma poi chiamò il segretario della Camera per chiedergli se per cambiare i vitalizi fosse necessario il voto della camera o se era sufficiente il voto di giunta. Bastava quello della giunta. Intanto Schifani era irritato per questa iniziativa. Decisi allora di giocare d’azzardo e telefonai al presidente della Repubblica Napolitano per un incontro. Dinanzi alla giunta di presidenza non ci fu nessuno che abbozzò un sorriso. Intervenne Fini dicendo che dal 1.1.2012 doveva valere anche per noi parlamentari il metodo di calcolo contributivo. Stabilimmo anche un contributo di solidarietà. Schifani commentò che stavo facendo antipolitica”.

“Questo governo – conclude l’ex ministro – giocherà due partite su due tavoli. Quella della propaganda verso l’elettorato, dove amplificherà le conquiste ottenute, come il reddito di cittadinanza. In Europa le minimizzerà, dicendo che erano ammortizzatori già presenti prima della loro riforma e che non è cambiato nulla”.

Roberto De Nart

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