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giovedì, Giugno 8, 2023
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I ricordi della maestra del paese, quando la montagna era diversa, con meno traffico e meno turismo.

Lago di Misurina
Lago di Misurina

Ci sono molte occasioni di incontri quando si è in vacanza. Questo week end sono stata in montagna nei dintorni del Lago di Misurina con alcuni amici. Mentre passeggio pigramente intorno al lago e osservo le montagne e i colori dell’autunno che in questa stagione sono splendidi e ammiro il paesaggio, lo sguardo mi cade sul parcheggio che non sta molto lontano dal lago stesso e che consente ai turisti di fare pic nic godendo della distesa d’acqua dolce. Nel frattempo sto chiacchierando del più e del meno coi miei amici e stiamo decidendo dove andare a cenare.
Mi distraggo, vedendo che da una delle auto scende una signora oramai sulla settantina e con lei un signore più giovane, forse il figlio o una amico che con confidenza e attenzione affettuosa la prende sotto il braccio con e la accompagna verso il bar che si trova a pochi passi proprio lungo il lago.
Osservo all’inizio distrattamente e poi mi metto a fissare con una certa curiosità che mi è nata da alcuni particolari della signora: capelli bianchi raccolti sulla nuca, altezza media, figura longilinea, andatura familiare. Ricorda un po’ una signora che avevo conosciuto tempo fa qui in zona. Lascio per qualche momento gli amici trovando una scusa qualsiasi e mi avvio verso di lei, che nel frattempo si è accomodata al sole ad un tavolino del bar sul lago.
Mi avvicino con passo sicuro mentre alcune foglie mi si parano davanti per il lieve venticello alzatosi da nord. Raggiungo la signora dopo aver salutato chi la sta accompagnando che mi guarda con curiosità e che non conosco. La saluto con la certezza che sia “lei”: è proprio lei, la signora che un tempo faceva la maestra in un paesino qui vicino e che ha insegnato ad alcuni miei amici di qui. La conobbi molte estati fa, quando venivo, ancora bambina, a camminare qui in montagna d’estate e lei organizzava giochi e intrattenimenti per i bambini del paese: si giocava come una volta nel verde a contatto con la natura, senza smartphone o play station. I giochi si facevano prevalentemente per strada o nei tanti spazi che la natura concedeva, c’era il piacere di fare parte del gruppo di mettersi alla prova, riuscendo a superare le difficoltà. Molti giochi poi erano quelli della tradizione: il nascondino, la trottola, le biglie, ma anche i giochi di parole e il pariedispari.
Non è strano che l’abbia riconosciuta, anche perché l’avevo rivista circa dieci anni fa, a dire il vero un po’ di fretta, mentre ero capitata in queste zone a fare trekking. La saluto, lei non mi riconosce, ma quando le racconto dei suoi giochi, allora ricorda qualcosa e comincia a narrarmi di L* di M*, di G* e di altri ragazzi oramai cinquantenni, allora ancora piccoli, chi bambino, chi già ragazzo, ma tutti in età scolare. Mi dice che allora la montagna era diversa, con meno traffico e meno turismo. Nelle sue parole, si sente molta nostalgia del passato come un po’ è naturale per chi ormai ha parecchie primavere. Comincia poi con tono più acceso a parlare dei ragazzi di oggi: si lamenta che non sono più educati, che non hanno sogni, che sono pigri e via di questo passo. Le chiedo con cortesia cosa voglia prendere, ma mi dice che è con il signore e lo indica mentre sta ritornando dal fondo del bar: ah è suo figlio? “Sì”, mi risponde, “è appena rientrato dalla Germania. È tra i tanti che hanno aperto un ristorante: lui vive a Colonia ed è qui con me in vacanza per alcuni giorni”.
La saluto, contenta di averla rivista e ritorno dai miei amici. Ripensando a lei e a suo figlio, rifletto su come la sua storia in fondo sia quella di tanti in montagna: una madre che rimpiange il tempo che fu, un figlio emigrato per trovar lavoro, forse felice (chissà!?) di rivedere la sua amata terra bellunese.

Bruna Mozzi

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