“In questo periodo sta assumendo una grande rilevanza il tema del welfare aziendale e territoriale. Le ragioni sono molteplici. In primo luogo, la questione è stata portata all’attenzione pubblica da un’azienda del calibro di Luxottica, con apprezzabili applicazioni concrete; in secondo luogo, il tema del welfare aziendale è oggetto di confronto ed elemento centrale nel rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici; in terzo luogo, perché il Governo – dopo le sperimentazioni fatte negli anni scorsi – ha iniziato a promuovere le politiche aziendali a sostegno del welfare, stanziando molte risorse nella Finanziaria per ridurre il peso previdenziale e fiscale sulle prestazioni di beni e servizi non monetari.
Lo afferma Franco Lorenzon, segretario Cisl Belluno-Treviso
“Come interpretare, allora, questo nuovo scenario? Si tratta di un ritorno al paternalismo aziendale di vecchio stampo oppure di una positiva innovazione?
Il welfare – lo Stato sociale – è uno dei capisaldi del sindacalismo delle origini, avendo posto le basi della costruzione di quei diritti sociali di cui oggi andiamo giustamente fieri. Senza quel “mutualismo delle origini” basato sul mutuo soccorso tra lavoratori che perdevano il lavoro senza alcuna tutela, che si ammalavano non avendo alcuna indennità, che finivano il lavoro senza alcun sostegno per il dopo, oggi parleremmo d’altro. La legislazione è sempre intervenuta successivamente, generalizzando conquiste ottenute prima con la contrattazione o con la mutualità.
Il tema, dunque, è tornato di attualità, ed è ora importante capire se la forte attenzione sul welfare aziendale e territoriale è finalizzata a prendere il posto di uno Stato sociale in via di smantellamento, oppure a prefigurare nuove strade di tutela collettiva.
Prima di tutto non bisogna porre il problema in termini ideologici, perché si finirebbe in una disputa teorica senza alcuno sbocco pratico. Ciò da cui occorre partire è, invece, la presa di coscienza che i sistemi di welfare in tutto il mondo occidentale sono entrati in crisi per varie ragioni. Tra queste, la principale è che tali sistemi, costruiti attorno alla grande industria manifatturiera, a causa dalle innovazioni dell’informatica e della comunicazione, non interpretano più un mondo del lavoro che si è frantumato in mille rivoli e in mille differenze.
Di conseguenza, prima ancora che un problema di sostenibilità economica o di criticabile volontà politica, si tratta di una questione di giustizia e di equità. Nella rivoluzione del mondo del lavoro, ormai troppe persone – specialmente giovani – sono escluse da un sistema di protezione sociale pensato per altri bisogni, perché il loro lavoro non ha più le caratteristiche della stabilità e della prevedibilità di un tempo.
L’ipotesi che si possa rispondere a questa sfida reclamando l’estensione delle attuali tutele anche a favore di tali soggetti è sbagliata prima ancora che velleitaria. La natura di queste nuove sfide, quindi, non si risolve soltanto con un rilancio della conflittualità, ma principalmente attraverso l’elaborazione di una nuova strategia. In altre parole, non più rivendicando diritti, ma progettando nuovi scenari e sperimentando nuove strade.
E’ pur vero che non ogni cambiamento va considerato positivo, anzi. Di conseguenza, nessuno ci assicura che il nuovo welfare aziendale possa assumere le caratteristiche del vecchio paternalismo. Dipende da come si muovono gli attori in campo.
Che le aziende tirino acqua al proprio mulino, è evidente. Che il sindacato si tiri fuori dalla partita con la scusa che “è tutto sbagliato, tutto da rifare”, sarebbe un errore imperdonabile.
Non si tratta di accettare lo smantellamento del servizio pubblico ma di sperimentare – attraverso la contrattazione – nuove soluzioni capaci di dare nuove risposte alle nuove domande dei lavoratori e delle loro famiglie. I lavoratori oggi vivono esperienze diversissime, ma tutte segnate dall’incertezza. Nessun lavoro sarà più stabile per troppo tempo, nessuna pensione appare sicura nella quantità e nella durata, nessuna salute sarà garantita senza l’attivazione di una responsabilità personale: “governare l’incertezza” sarà dunque il tratto caratteristico dell’intervento pubblico ma anche del privato collettivo nel prossimo futuro.
Le nuove forme di welfare interaziendale vanno in questa direzione, soprattutto perché possono interpretare le domande provenienti dai soggetti del territorio. Cosa che non significa una chiusura nel locale, ma rappresenta l’altra faccia dell’impegno delle imprese nella competizione economica, che si gioca nello scenario globale, ma avviene con i piedi ben piantati nel terreno locale.
Per queste nuove sfide non esiste un libretto delle istruzioni, né alcuna certezza di un esito positivo.
Quel che ci pare certo – conclude Lorenzon – , è che è meglio essere protagonisti del cambiamento piuttosto che subirlo”