“La provincia rafforzata dal sì al referendum? Non ci crederebbero nemmeno gli sceneggiatori di Zelig”.
A dirlo è l’assessore regionale alla Specificità Gianpaolo Bottacin (Lega Nord).
“Il referendum – prosegue Bottacin – “riconosce e valorizza la specificità montana di Belluno”: se fossimo a Zelig o da Crozza direi che abbiamo a che fare con delle battute veramente esilaranti. Purtroppo leggo che si tratta invece di dichiarazioni virgolettate di illustri testimonial politici del nostro territorio e questo mi lascia molto di che pensare. Leggere quanto afferma il luogotenente renziano nonché onorevole del territorio (il deputato del Pd Roger De Menech ndr) non solo è raccontare una balla colossale ma significa prendere in giro i bellunesi. Di certo infatti c’è che, da un’eventuale approvazione di questo referendum, si avvererebbe l’esatto contrario: tutte le province, montane o non montane, vengono cancellate, tranne Trento e Bolzano. Sì, perché le eccezioni sono ben specificate, e tra le eccezioni non vi è scritto Belluno.
Ma non basta, ahinoi, devo altresì constatare che a favore del sì ci sono anche la presidente della provincia, il vicepresidente e pure il sindaco di Sedico, consigliere in provincia con delega all’ambiente. “Una grande opportunità al territorio bellunese e alla sua governance” dicono. Che ci spieghino quale opportunità? L’ambiente, ad esempio, verrà totalmente centralizzato e a livello locale non ci sarà più né potestà legislativa né quindi autonomia amministrativa, e questo al sindaco di Sedico forse andrebbe spiegato perché evidentemente la cosa non gli deve essere così chiara.
“La riforma costituzionale rappresenta la costituzionalizzazione dei principi fondamentali della legge Delrio, tra cui quello della specificità montana di Belluno”, ma dove?! Ma quando?! Pluralismo e sussidiarietà con questo referendum vengono sostituiti dal peggior centralismo romano. Anche quella che fino a ieri veniva spacciata come la cartina di tornasole per il sì, ovvero l’abolizione dei senatori, dopo la giravolta fatta dal premier nelle ultime ore per non perdere altri pezzi del suo Pd in rivolta sembrerebbe essere stata derubricata a un semplice scherzo.
Tornando peraltro ai temi che più interessano il territorio, ovvero il ruolo delle autonomie locali, è del tutto evidente la mancanza di un inquadratura legislativa che affronti nella sua interezza la materia. Viene, e in malo modo, costituzionalizzata solo l’abolizione delle province attraverso il nuovo articolo 114. Un altro passaggio chiave del neocentralismo renziano lo possiamo poi trovare nel nuovo articolo 119 con cui viene riservata a legge statale la materia su tributi, entrate e compartecipazioni, altro che autonomia finanziaria degli enti locali. Due passaggi, che a dirla tutta, appaiono pure in contrasto i con i principi fondamentali espressi dall’articolo 5 della Costituzione: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Circa infine al passaggio relativo alla possibile creazione di enti di area vasta, tenuto conto anche delle aree montane, l’espressione appare una contraddizione in termini, un palliativo per ridurre possibili proteste di territori in difficoltà prevedendo per il futuro confusi enti, di secondo grado, che di fatto avranno meno peso e competenze dell’attuale mortificata provincia e con la quale potranno al massimo condividere il fatto di essere senza denari per fare alcunché.
Tante contraddizioni insomma – conclude Bottacin – mischiate in una riforma complessivamente disorganica con visioni parziali e fatta più sulla base di spot elettorali che su sani e forti principi costituzionali.
Una riforma che comunque va letta con attenzione proprio per capire che ad essa l’unica risposta logica è: No”!