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Crisi delle 4 banche. Stefano Bellotto (Unisin sindacato bancari): “Dov’erano i politici negli anni 2000?”

Stefano Bellotto
Stefano Bellotto

Dopo la crisi delle quattro banche italiane molti politici si riempiono la bocca di critiche e di richieste di denunce contro i bancari perché ritenuti corresponsabili di quanto è successo ai risparmiatori.
Ma dov’erano i politici nei primi anni 2000 quando “bisognava salvaguardare l’italianità del sistema” e fu consentito alle banche, azionisti, manager, e dirigenti di fare quello che volevano, senza ascoltare le i rappresentanti sindacali che denunciavano a tutti i livelli e ad alta voce le pressioni per vendere di prodotti spesso non adatti ai consumatori, e mai sono intervenuti in loro sostegno?

A porre l’interrogativo è Stefano Bellotto, segretario provinciale bancari Unisin Belluno.
Dove erano i politici  – prosegue Bellotto – quanto venivano denunciate le storture di un sistema premiante per i manager che ha portato a utili enormi per gli azionisti e elevate stock option per i manager il tutto con un rilevante aumento dei costi per artigiani commercianti e risparmiatori (anche qui in Veneto, anche a Belluno)?
Le crisi bancarie in Italia sono da sempre cosa seria, sulla quale i governi possono cadere ed equilibri politici possono cambiare.
Se si vuole salvare e rafforzare il sistema bancario, a mio parere, non possiamo lasciare che a farlo siano solo le leggi, la Banca d’Italia, il sistema di sorveglianza. Questi soggetti hanno dimostrato di non essere da soli in grado di garantire a sufficienza i risparmiatori, è ora di cambiare regole e soggetti, coinvolgendo anche associazioni di cittadini, di consumatori, di dipendenti, sindacati, e stimolando un azionariato diffuso.
Tutti i portatori di interesse devono essere coinvolti in un processo di riforma di un settore che gestisce un bene che è privato ma anche, ebbene sì, comune: il denaro.
Negli ultimi anni si sono commessi tanti errori: la scelta di Monti di non ricorrere a strumenti statali per difendere le banche italiane durante la crisi del 2012 (abbiamo però dovuto mettere 60 miliardi di €uro nel Fondo Salvastati e 8 miliardi per salvare le banche spagnole, tutto ciò mentre la Germania salvava le sue banche con oltre 200 miliardi); l’introduzione del pareggio di Bilancio in Costituzione; il non aver costituito per tempo una Bad Bank sistemica, anche con capitale pubblico, presso la quale far confluire i debiti in sofferenza con la conseguenza di liberare capitali da destinare a finanziamenti per famiglie ed imprese; il non aver esteso anche ad altre banche in difficoltà la creazione di Tremonti Bond come sul modello Montepaschi (la cosa avrebbe permesso alle banche di riprendere operatività e lo Stato ci avrebbe guadagnato in termini di interessi).
Mentre oggi si parla della costituzione di un fondo di 100 milioni di euro per ristorare parzialmente i correntisti delle quattro banche salvate, pare che alcuni dei manager di Banca Etruria si siano concessi linee di fido per 185 milioni di euro.
Potrei continuare a lungo, la verità è che non possiamo lasciare al sistema bancario la risoluzione dei problemi del sistema bancario, così come più in generale non possiamo lasciare al sistema economico la sua autoregolazione. Le prove dei fallimenti sono più grandi di quelle dei successi (quantomeno in Italia).
A chi, purista del mercato autoregolantesi e della ragioneria europea oppone al mio ragionamento l’inopportunità o peggio l’impossibilità di interventi pubblici ricordo quanto scrive la nostra Costituzione all’art. 47: “la REPUBBLICA (cioè tutti noi, e tutti i livelli istituzionali) incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina coordina e controlla l’esercizio del credito”. A volte la Costituzione, più che cambiarla bisognerebbe attuarla…
I consumatori devono poter essere messi nelle condizioni di recuperare le loro somme. Così come la finanza è fantasiosa nel costruire prodotti finanziari complessi da vendere alla clientela sia efficace nel creare la soluzione ai problemi che ha creato: partecipazione agli utili delle banche risanate, emissione di warrant gratuiti per la sottoscrizione di quote azionarie delle nuove banche, la creazione di “piani di rientro” delle banche nei confronti dei clienti che permettano un recupero delle somme entro limiti temporali accettabili etc.: gli strumenti non mancano; serve la volontà politica di metterli in funzione.
Anche in Veneto si sono scritti fiumi di inchiostro su Popolare di Vicenza e Veneto Banca per mutui erogati a condizione che venissero sottoscritte azioni non quotate sul mercato; da tempo ne leggiamo su altre banche del sistema cooperativo e sui derivati della Regione Veneto. Il Veneto, ha la necessità di avere un sistema bancario serio ed efficiente a servizio dei cittadini e delle imprese: è il caso, visti i precedenti, che la sua testa sia in Veneto? (E’ una domanda…).
A Belluno (terra delle occasioni perse e delle divisioni permanenti) la situazione non è migliore. Non è stato possibile coinvolgere un sufficiente numero di imprenditori e privati nella costituzione di una Banca Popolare che, dopo la fallimentare esperienza della Banca Popolare della Provincia di Belluno, potesse dare risposte agli imprenditori e alle famiglie della Provincia. Non si è proceduto ad una unione dei Consorzi Fidi che potesse costituirsi come interlocutore forte per conto delle aziende nei confronti del settore bancario. E intanto, a quanto pare, Veneto Banca e Popolare di Vicenza prestavano soldi ai forti e agli amici degli amici facendo sottoscrivere ai clienti azioni il cui valore non era determinato dal mercato, ma dal Consiglio di Amministrazione della banca: dov’è la trasparenza??
In questo contesto vedo rischiosa per la tutela di clienti e lavoratori la recente proposta del Ministro Poletti.
Scavalcando, come d’uso dal 2011 dopo la lettera della Bce al Governo italiano, le parti sociali (sindacati e imprese), il Ministro Poletti vuole d’un tratto “rottamare” l’orario di lavoro e l’obbligazione di mezzi che contraddistinguono il rapporto di lavoro subordinato, reintroducendo elementi di cottimo.
Ma immaginate cosa vorrebbe dire se il lavoro di consulenza fosse pagato a cottimo??
Nel sistema finanziario già ci sono a sufficienza capi e capetti che coordinano gruppi di lavoratori e fanno pressioni per fare raggiungere ad altri (c’è sempre uno che corre per te…) risultati strabilianti per ottenere benefit; non serve acuire la competizione tra colleghi, anche perché in questi giorni vediamo quali danni può portare la “febbre da budget”.
Le nostre denunce e le nostre iniziative, anche pubbliche, come sindacati dei bancari hanno portato negli ultimi anni a dei cambiamenti, ma non è mai abbastanza quel che si fa per tutelare colleghi e clienti. Perché, statene certi, lo sportellista non ha guadagnato dalla vendita di obbligazioni subordinate alla clientela (anzi, in quattromila dipendenti ci hanno perso…): chi ha guadagnato sta sempre molto, molto, molto più in alto di coloro che vi servono allo sportello.
Caro Poletti- conclude Bellotto – la sua provocazione può essere posta in un dibattito serio se considera gli interessi non solo dell’azienda ma anche dei lavoratori e dei clienti; se è cottimo no, grazie, hanno già dato le generazioni precedenti.

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