
“Qualità degli alimenti e chiarezza di informazione ai consumatori non sembrano stare a cuore all’Unione europea”: così commenta la sentenza di ieri della Corte di Giustizia europea, che ha bocciato la denominazione italiana di “cioccolato puro”, il presidente di Confartigianato Alimentazione, il bellunese Giacomo Deon. “Si tratta – rimarca il presidente Deon – di un grave attacco alla tradizione del made in Italy, un affondo delle lobbies europee del cioccolato”. La denominazione ”cioccolato puro” risale al 2002 e ha un forte contributo bellunese apportato sempre da Giacomo Deon, nella sua veste di presidente nazionale dei Pasticceri di Confartigianato, che – in collaborazione con l’alloral presidente del Consorzio Cioccolato di Modica, Franco Ruta, Legambiente e l’allora ministro all’Agricoltura, Gianni Alemanno – aveva condiviso come strumento per la valorizzazione una composizione tradizionale del cioccolato, assicurando ai consumatori standard di qualità ben precisi. Infatti, con il marchio “cioccolato puro” in questi anni si è identificato un prodotto realizzato esclusivamente con: pasta di cacao (composta soltanto da burro di cacao e cacao), zucchero, latte in polvere, aromatizzanti naturali, rappresentando una preziosa garanzia di qualità per i consumatori che, infatti, hanno premiato i nostri prodotti. Ora, secondo la Corte UE, l’aggiunta di grassi sostitutivi a prodotti di cacao e di cioccolato, che rispettano i contenuti minimi previsti dalla normativa Ue in materia, non può produrre l’effetto di modificarne sostanzialmente la natura, al punto da trasformarli in prodotti diversi e, di conseguenza, non giustifica una distinzione delle loro denominazioni di vendita. La direttiva permette di vendere come cioccolato anche quello contenente grassi sostitutivi, meno cari del burro di cacao. “L’Italia – ricorda Deon – aveva varato una normativa che prevedeva la dicitura ‘Cioccolato puro’ nell’etichettatura dei prodotti che non contenevano grassi vegetali sostitutivi. La normativa prevedeva anche ammende da 3.000 a 8.000 euro in caso di violazione. La Commissione europea, aveva deferito allora l’Italia alla Corte Ue, che oggi, purtroppo, le ha dato ragione”.