Primavera 1945. Siamo alle ultime battute della Seconda guerra mondiale. Le formazioni partigiane sono sempre più impegnate in azioni di sabotaggio, con deragliamento dei treni, l’uccisione delle spie e puniscono con la rasatura dei capelli quelle donne ritenute “allegre amiche” dei tedeschi. Il 10 marzo nel Bosco delle castagne sono impiccati 10 partigiani. Ed altri 4 il 17 marzo vengono appesi ai lampioni di piazza Campitello (oggi piazza dei Martiri in memoria del triste episodio). Un altro partigiano cadrà sotto le raffiche della Wehrmacht la mattina del 21 aprile del 1945 quando, insieme con altri 3 suoi compagni va ad incrociare per caso un plotone tedesco impegnato a localizzare la stazione radio inglese nascosta a Villa Tattara di Giamosa. Nel pomeriggio dello stesso giorno il reparto tedesco fredda anche Aldo Carli, un disabile di Bettin, scambiato per un partigiano.
All’inizio dell’aprile 1945, il Comando partigiano della piazza, viene a conoscenza della presenza di un deposito d’armi a Giamosa (frazione a 4 Km da Belluno) e dà l’incarico a 4 giovani partigiani Varzi, Sgiufa, Aquila e Nemo (Bisa) di effettuare un sopralluogo. Alle 8 di mattina del 21 aprile del ‘45 i quattro si dirigono verso villa Tattara a Giamosa (a 200 metri ad est delle Scuole elementari), ignari che quella stessa mattina, per una imprevedibile congiuntura del destino, un plotone di trenta soldati tedeschi era impegnato in una operazione tesa a localizzare e neutralizzare la stazione radio partigiana che trasmetteva dalla destra Piave. A confermarcelo c’è la testimonianza della signora Rosanna Vedana (vedova del senatore Arnaldo Colleselli), già staffetta partigiana col nome di Paola, addetta al collegamento con la Missione Aztec, comandata dal maggiore italo-americano Benucci con base a Giamosa. “Ogni giorno dalla mia casa di Praloran di Limana attraversavo il Piave – scrive la Vedana negli appunti consegnati ad Armando Dal Pont, noto ricercatore di storiografia locale – per raggiungere Villa Tattara di Giamosa a portare e ricevere la corrispondenza. Nella villa c’era un bunker molto sicuro, che nascondeva i membri in divisa della Missione Aztec. Un giorno il nostro informatore “Sette” (Rodolfo Dalvit, poliziotto ed autista dei nazisti, un uomo coraggioso che fece il doppio gioco informando puntualmente i partigiani. Lo stesso che alcuni giorni prima era alla guida dell’auto che trasportò a Travazzoi il dottor Mario Pasi “Montagna” con una gamba spappolata dalle torture. Trasferimento conclusosi poi con l’impiccagione al Bosco delle castagne dei 10 partigiani) mi avvertì tramite suo fratello che i tedeschi disponevano di un radiogoniometro per localizzare le radio clandestine. Disse inoltre, che c’era stata qualche segnalazione al comando tedesco della Gestapo sulla presenza di una radio sul versante della destra Piave verso Feltre. Allora mi precipitai in bicicletta per avvisare i soldati della Missione del pericolo e, strada facendo, sorpassai un grosso veicolo munito di un’antenna che avanzava lentamente”. I quattro giovani partigiani incaricati di raggiungere il deposito di armi a Giamosa, alla vista dei soldati tedeschi che dalla strada principale avanzano in direzione Belluno, si nascondono dietro una siepe che costeggia una stradina in prossimità di Villa Tattara. Sgiufa ed Aquila riescono ad allontanarsi senza essere notati. Mentre la presenza di Varzi e Nemo ancora nascosti incuriosisce una ragazza che in quel momento sopraggiunge ed il suo atteggiamento di stupore fa insospettire i soldati. Ai due partigiani non rimane che buttare le armi ed aspettare l’arrivo dei soldati senza opporre resistenza. Fermati da un sottufficiale tedesco affermano innanzitutto di non conoscersi. Varzi dichiara semplicemente di esser diretto alla villa in cerca di uova. Nemo sostiene che era lì per effettuare dei controlli ai libretti assicurativi dell’Inps del personale in servizio alla villa. I militari passano quindi al controllo dei documenti. Quelli di Nemo sono in regola, mentre sorgono dei sospetti su quelli del Varzi che viene immediatamente perquisito. Gli trovano in tasca una copia del giornale clandestino “Avanti popolo”. Che il giovane partigiano giustifica prontamente dicendo che tutti i bellunesi ne possiedono delle copie. Subito dopo, però, l’interprete bolzanino che lo sta perquisendo gli trova delle cartucce di pistola nello stivale. Allora lo insulta e lo prende a schiaffi. Varzi in un primo momento subisce, poi perde il controllo e reagisce colpendo e gettando a terra il soldato. C’è un momento di scompiglio, Varzi ne approfitta e fugge. Nessuno dei soldati lo rincorre e ciò dimostra che il reparto quella mattina aveva il compito preciso di neutralizzare la stazione radio e non di dare la caccia ai partigiani. Varzi scompare e dopo un po’ esce allo scoperto dal letto di un ruscello per attraversare il ponticello sovrastante. Ed è la fine. Una raffica di mitra lo colpisce alla schiena uccidendolo.
Non aveva ancora compiuto 22 anni Varzi, ovvero Guglielmo Benvenuto Mario, autista, nato a Belluno il 26 luglio del 1923, partigiano appartenente al Primo settore del Comando della Piazza. Il reparto tedesco prosegue in direzione di Belluno, alla ricerca della stazione radio. Raggiunto il bosco tra le frazioni di Giamosa e Bettin incrocia un uomo al quale viene intimato di fermarsi. Si tratta di Aldo Carli, un disabile immaturo, che era solito pregare vicino ad un albero ed al sopraggiungere dei soldati fugge e viene ucciso. In sua memoria, la madre disporrà poi un lascito alla Parrocchia di Salce, con il quale verrà eretta la Scuola materna di Col di Salce, intitolata appunto a Luigi Aldo Carli (Luigi era il nome del padre di Aldo). L’episodio di Aldo Carli merita una breve parentesi. Egli, infatti, faceva parte di quei bellunesi che sul finire degli anni ‘30 si recavano a Voltago Agordino per assistere alle apparizioni della Madonna. Una storia iniziata nel 1937 sulla quale interverrà nientemeno che il Vaticano. E che si concluderà nel maggio del ’43 con la scomunica dei due principali protagonisti: Antonio Basso di Lovadina (Treviso) e Maria Miana di Voltago. Ebbene, queste presunte apparizioni coinvolsero fortemente Aldo Carli, al punto che tutti i giorni si recava a pregare la Madonna nel bosco nei pressi della sua abitazione di Bettin dove incontrerà la morte. Non abbiamo detto di Nemo, il partigiano in regola con i documenti fermato dai tedeschi a Villa Tattara. Ebbene, egli resiste senza contraddirsi per tre giorni di duri interrogatori in cella, confermando sempre la prima versione data, ossia quella di essere un ispettore dell’Inps incaricato di verificare la situazione contributiva del personale della villa. Circostanza ampiamente confermata dal direttore dell’Inps che i tedeschi andarono ad interrogare senza immaginare che quel direttore era il padre di Nemo. Che nel frattempo era stato informato dei fatti dal controspionaggio partigiano, consentendogli quindi di salvare la vita al figlio.
Roberto De Nart