A cura dell’Associazione “Cortivi di Cirvoi”, sabato 17 aprile dalle 18 presso la sala della Cooperativa di Cirvoi (Belluno), si svolgerà la presentazione del libro di Alfonso Lentini “Cento madri” (ed. Foschi, opera vincitrice del premio città di Forlì). Ne discuterà con l’autore Serena Dal Borgo. La serata sarà arricchita da un videointervento di Marta Mellere.
Una mitica città siciliana, un “principino” e le sue cento madri, opulente e inafferrabili, carnali e misteriose: in un’atmosfera surreale e soffocante un bambino cresce segnato da questa presenza femminile molteplice e variegata che tutto avvolge e tutto possiede.
Ma un senso di colpa, la premonizione di un atroce delitto si insinuano nel fragile equilibrio di questo grande harem e del suo principino.
Come potrà il bambino, ormai cresciuto, liberarsi da questa ovattata prigione? Sarà possibile distaccarsi dalle cento madri senza uccidere qualcosa di sé e di loro?
Scandito da una lingua stravolta e da un ritmo serpentino, il racconto è giocato in prevalenza su elementi visionari. Si potrebbe considerare una fiaba per adulti, ma una fiaba ben ancorata a tempi e contesti reali: sono chiaramente evocate infatti le atmosfere della seconda metà del secolo scorso (gli anni cinquanta-settanta, grosso modo), mentre lo scenario è quello di un Sud rappresentato nelle sue mille nature, nella sua brutalità e nella sua estrema fragilità, nelle sue avvolgenti malie e nella sua ruvida poesia.
In Cento madri, alternando narrazioni in prima e in terza persona – che esprimono comunque il punto di vista straniante di un personaggio dall’identità indefinita e cangiante (“bambino”, “scarafaggio obeso”, “principino”, “pidocchio”, “mostro”…) – si svolge una concitata rêverie priva di una trama lineare e compiuta dove risalta la presenza pervasiva di numerose figure materne (le “cento madri”, appunto) che nel corso del racconto si diramano a sciame sino a combaciare quasi del tutto con l’universo sociale in cui il protagonista si trova a vivere.
Il tema che maggiormente salta agli occhi è dunque il rapporto con la “maternità” inteso estensivamente come rapporto con la “terra madre”, con l’ambiente e con le radici; un rapporto passionale e conflittuale dal quale germinano i più oscuri sensi di colpa e i più esasperati istinti di ribellione. A questo si riallacciano altri temi come la costruzione (o de/costruzione) dell’identità nell’età adolescenziale, il rapporto con la morte, con il sesso, con i propri sogni… Su tutto aleggia la rappresentazione di una società percepita come degradata, violenta e in qualche modo “insostenibile” da parte del protagonista, che fin dall’inizio si presenta come colpevole di un atroce delitto la cui natura sarà via via evocata e definitivamente svelata solo nelle pagine finali.
C’è inoltre, come ammette lo stesso autore, una sorta di collante filosofico che, riecheggiando Berkeley, cerca di tenere insieme il tutto: “un’idea molto ‘duttile’ di realtà, l’idea che le cose esistono precariamente, prendono forma mutevole in base a come vengono percepite ed hanno consistenza solo se qualcuno le percepisce. Pertanto la partenza, l’abbandono, il ‘tradimento’ sono azioni di cancellazione del reale e nella loro ‘violenza’ somigliano a un’uccisione.”
Il romanzo, pubblicato dalle edizioni Foschi con una postfazione di Paolo Ruffilli, è risultato vincitore del premio letterario nazionale “Città di Forlì” con una giuria presieduta da Giorgio Celli ed Eraldo Baldini.
Questa la motivazione: “Con una lingua inventata mescolando arcaismi letterari, termini dialettali, scientifici, pop, l’autore racconta l’infanzia di un ‘principino’ siciliano. La narrazione è tenuta su un registro visionario che porta il lettore in una scena di sogno. Visioni e lingua sono le cose più belle di questo racconto. La lingua dell’autore è coltissima, ma la narrazione non è mai chiusa in un ‘genere letteratura’ separato e alto: la scrittura resta sempre viva e coinvolgente”.
Alfonso Lentini è di origine siciliana, ma vive da oltre trent’anni a Belluno, dove insegna e si occupa di scrittura e arti visive. Fra i suoi libri, La chiave dell’incanto (Pungitopo, 1997), Mio minimo oceano di croci (Anterem, 2000), Piccolo inventario degli specchi (Stampa Alternativa, 2003) e Un bellunese di Patagonia (Stampa Alternativa, 2005). Nelle sue numerose mostre e installazioni tenute in Italia e all’estero propone opere basate sulla valorizzazione della parola nella sua dimensione materiale e gestuale.
Brani tratti da alcune recensioni
“Cento madri” – edito da Foschi e vincitore del premio “Città di Forlì” – viaggia al tempo del monologo interiore: una sorta di ode al femminino, ma visto dal basso e da occhi non femminei. Il piccolo protagonista è piccolo solo in apparenza, e il suo universo, chiuso dalle pareti del palazzo in cui vive, non è che il preludio di qualcosa di ben più ampio. Sullo sfondo di una Sicilia opulenta, languori e ribellioni si confondono gli uni negli altri: così come la vita, la morte, il sesso, la perdita e l’illusione. In ognuna di queste stazioni si ferma la mente del protagonista: che si autodenuncia traditore fin dalla primissima riga, e per mano accompagna lungo la trama delle sue riflessioni, dei suoi segreti, delle sue contraddizioni. Tutto quello che è necessario accada accade attraverso il pensiero e la percezione (…). Tutto è avvolto da una sottile pellicola di mistero, i simboli sono scopertamente importanti, la lingua si piega all’invenzione, all’umore, all’ambiguità percettiva e diventa una specie di gesto. Riuscirà la malia delle “Cento madri” a dominare il piccolo protagonista, ad asservirlo all’universo che gli ha creato tentando di cucirlo addosso al suo stesso respiro? Per capirlo occorre entrare nel “madrificio”, e ascoltare il suono del suo incantesimo che, da sempre, lega il dono all’abbandono.
(Michela Fregona)
Alfonso Lentini, poeta, saggista, narratore, è anche artista. Questa sua collaterale vocazione è ben presente nel suo ultimo lavoro letterario, Cento Madri, che esce a distanza di quattro anni dal romanzo Un bellunese di Patagonia, storia di un emigrante alla rovescia, e di sei anni da quell’autentico gioiello costituito dal Piccolo inventario degli Specchi, dove Lentini usa un oggetto, appunto lo specchio, per proporre una singolare storia del mondo, ma soprattutto per mostrarci il lato nascosto e oscuro dell’anima umana.
Anche in quest’ultimo romanzo c’è un mondo, quello delle Cento Madri, racchiuso in una grande casa in una regione geografica facilmente identificabile nella Sicilia. E c’è una sorta di esplorazione delle profondità di un uomo, a partire dalla mitica infanzia di “principino”, circondato, protetto ma anche soffocato dalle madri del titolo, fino alla dolorosa, inevitabile decisione che sarà svelata solo nel finale del libro, ma preannunciata già nell’incipit: “Io, che ho commesso il delitto più atroce, ho avuto cento madri”.
(Gian Maria Molli)
Cento madri è appunto un “romanzo”, come suona la copertina, ma che cosa vi si narra? e come lo si narra? Se è romanzo, è una prova di congedo dalla antiche norme del genere, una prova in cui l’autore sembra perseguire gli stessi fini della propria attività di artista visivo: parole che si fanno materia, e che in quella materia trattengono una robusta carica espressiva.
(Antonio Castronuovo)
Via di mezzo tra poème en prose e ‘mito’ in lasse, in Cento madri la lingua impera sì, ma senza soffocare né minimamente scalfire l’efficacia e l’integrità della fabula, che avvince e coinvolge, come si dice, dal primo all’ultimo rigo. (…) Se la nostra società letteraria somigliasse anche solo in minima parte a quella degli anni Sessanta, se i vari D’Orrico che ammorbano le nostre gazzette valessero un’unghia di Luigi Baldacci o un capello di Carlo Bo, quest’opera sarebbe accolta con cento ovazioni.
(Gualberto Alvino)