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Per gli speciali di Bellunopress, pubblichiamo la cronaca giudiziaria di trecento anni fa del giornalista-scrittore Sante Rossetto

Campi devastati a Trichiana e Campedei: puniti dalla Giustizia alcuni notabili del Settecento violenti contro poveri contadini.

La Giustizia veneziana aveva molte pecche, ma riscuoteva la fiducia del popolo che la sentiva vicina alle proprie esigenze. Anche perché non lasciava impunite le sopraffazioni di chi ricopriva qualche posto di autorità. Fossero essi nobili del posto, notoriamente arroganti e violenti, o piccoli notabili che approfittavano della loro posizione e della ignoranza della gente. Quella che vi raccontiamo è la conclusione della lunga diatriba tra Apollonio Brancher, pacifico contadino che ha quattro campi a Campedei di Trichiana, e  una mezza dozzina di piccole autorità della Pieve di San Felice, capitanati dal sindaco unito al meriga (agente comunale), allo scrivano e altri tre impiegati pubblici. Siamo nel 1720. Il citato Apollonio Brancher aveva acquistato molti anni prima dal nobile Giovanni Magno quattro campi a Campedei. Campi che facevano parte del patrimonio dei beni comunali venduti dalla Repubblica nel Seicento. I campi comunali erano di tutti, cioè comuni. Ma sindaco, meriga e la cricca del piccolo potere vogliono togliere al nuovo proprietario, che è un villico del posto, quei campi. Perché, non lo sappiamo. E per convincerlo a cedere alle loro soperchierie danneggiano le coltivazioni. Immaginarsi la disperazione del povero contadino. Dopo tanta fatica vedersi rovinati i frutti del suo lavoro. Una soluzione, alla fine, si trova. Ma favorevole ai sopraffattori. Brancher si rassegna. Vogliono i miei campi di Campedei? Bene, datemene altrettanti e io ve li cedo. Accordo fatto perché al Brancher sono ceduti, in nome della Pieve cioè dell’istituzione comunale, quattro campi in località Calmata. Il bravo contadino pensa che adesso sia tutto a posto. Si impegna a recintare la proprietà e a migliorare i campi. Ma la vicenda continua. Passano una mezza dozzina d’anni e si arriva al 1727. Sindaco e compagni, convinti di poter fare il bello e cattivo tempo, vogliono recuperare anche i quattro campi di Calmata. E si recano in tribunale chiedendo di annullare l’accordo del cambio svolto qualche tempo prima. E, adesso, entrano in gioco le scritture notarili. Che arrivano fino a Venezia. Lì quelli che hanno un po’ di potere possono arrivare. Loro, i villici che non sanno leggere, non potranno mai arrivarci. Ma a Venezia i giudici danno ragione ai contadini. E allora i tracotanti notabili seguono un’altra strada. Hanno in mano delle carte venute dal tribunale di Venezia, mandano un fante (un cursore comunale) a imporre ai villici di trovarsi la mattina del 30 giugno in piazza per decisioni che riguardano le regole della Pieve. Cioè le proprietà comunali della Pieve.  E dovevano venire muniti di manarini, manere e coltelli. Per fare che cosa? Avrebbero ricevuto istruzioni dal meriga del Comun. Il quale arriva e si trova dinanzi 129 villici. Ovviamente analfabeti. I quali apprendono dall’uomo, uno che sa leggere, che tutta quella gente deve distruggere “li stroppi” (le recinzioni) di alcune proprietà. Tra queste quella di Apollonio Brancher. Anzi, per far le cose come si deve, il meriga aveva portato le ballotte (le palline) per mettere a votazione popolare la decisione. Dopo le sue parole quasi tutti votano per eseguire l’opera da lui sollecitata. Perché la aveva letta nella lettera giunta da Venezia. Qualcuno, però, anche se non sa leggere, non è del tutto convinto della bontà di quello che gli viene detto. Chiede di rileggere per bene quello che viene impartito da Venezia. E il meriga ribadisce che, sì, si comanda di distruggere le protezioni che circondano i campi che erano stati campi comunali.  E dice anche dove bisogna andare. Per prima si comincia con la proprietà di Apollonio Brancher. Poi si proseguirà con quella di Filippo Brancher, Vettor Schiocchet, Pietro da Canal. Il meriga ha convinto i villici che quelli non erano i legittimi proprietari dei loro campi che avevano comperati anni prima. Perché quei campi erano beni comunali, cioè di tutti a beneficio di tutti. Ed era inutile sostenere che c’era tanto di rogiti notarili. Chi non sa leggere deve fidarsi. E dopo Calmata bisognerà recuperare i campi comunali che si trovano nel Pian di Pianezze, alla Stabiole, sul Col de Signa. E così fanno. Appena distrutte le recinzioni dei campi gli animali possono entrare e devastare i seminati. Facile descrivere la disperazione di quei poveri proprietari che avevano lavorato anni per sistemare quelle terre. Ma non tutti i notabili avevano preso parte all’opera di devastazione. Soltanto il meriga. Gli altri, furbescamente sapendo di commettere una ingiustizia, si erano tenuti lontano. Per poter dire che non c’entravano. Ma, anche se il documento non ce lo racconta, chi ha fatto la denuncia deve aver raccontato tutta la storia. Il giudice parla di “malizia inescusabile” di questi sopraffattori che turbano la tranquillità e l’ordine dei lavoratori. Mandano gli sbirri ad arrestarli, ma quelli hanno cambiato casa. Allora sono obbligati a presentarsi spontaneamente alle carceri. Dapprima tentennano, ma alla fine non resta che affrontare  le proprie responsabilità. Si istruisce il processo, si sentono i testimoni, si arriva alla sentenza. Che non è troppo leggera perché tutti finiscono per sei mesi in prigione. Di quelle senza luce. Oltre alla perdita della reputazione per il futuro perché quei sopraffattori incarichi pubblici non ne ricopriranno più.  Ma non basta perché potranno uscire di prigione soltanto se avranno sistemato le recinzioni dei campi e pagato i danni apportati. Un esempio di come la Serenissima aveva a cuore la sorte dei suoi sudditi. Almeno secondo questa sentenza. Dietro la quale, probabilmente, c’erano migliaia di casi in cui la tracotanza restava impunita. Ma non soltanto tre secoli fa.
Sante Rossetto

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