Emblemi dell’inarrestabile scorrere del tempo, ma anche monito all’importanza della tutela paesaggistica – ambientale e della formazione di una coscienza dell’abitare, proiettata in una prospettiva futura, le immagini delle vecchie abitazioni rurali del territorio riportano alla memoria le radici agricole della nostra terra. Un centinaio di queste suggestive foto sono proposte in questi giorni nella Sala Romeo Centa, Centro di documentazione informativo-scientifico-visivo per i visitatori della zona archeologica sottostante il sagrato del Duomo. L’esposizione rappresenta una selezione della più ampia mostra “Architettura rurale del Bellunese” tenutasi al Fondaco delle Biade nel giugno 1990 e organizzata dal Centro per la documentazione della Cultura Popolare della Comunità Montana Feltrino, in collaborazione con la Provincia di Belluno. La mostra comprende le immagini raccolte da Elio Migliorini, dal 1925 al 1955, sulle tipologie edilizie rurali della provincia, affiancate da scatti che ritraggono gli stessi immobili, a titolo comparativo, nel 1990. Vengono appaiati, tra gli altri, edifici di Tisoi (Belluno), Arson, Arsié, Bolago e Barp (Sedico), Cesiomaggiore, Lasen, Callibago (Santa Giustina), Montagne, Sanzan, Pedavena, Zorzoi, Servo, Sorriva, Murle, Marsiai (Vas), Lamon e Quero in una sequenza che offre una paradigmatica rassegna delle tipologie costruttive e dei materiali impiegati. Elio Migliorini (Rovigo 1902 – Roma 1988) fu eminente geografo, e docente di Geografia all’Università di di Roma. Membro dell’Accademia delle Scienze italiana, fu convinto promotore e studiosi dell’esperanto. La sua ricerca sugli edifici agricoli della provincia lo portò nel 1969 a pubblicare, con Alessandro Cucagna, il fondamentale volume La casa rurale nella montagna bellunese (Firenze, Olschki editore). Nel libro, dopo aver affrontato in una prospettiva geografica l’ambiente naturale, il popolamento, l’economia, le ragioni del rinnovamento edilizio e aver passato in rassegna i precedenti studi sulle case bellunesi, Migliorini compie un esame analitico delle dimore rurali condotto tenendo conto delle grandi unità regionali fisiche e storiche in cui si suddivide la provincia. Le aree individuate risultano essere quattro: Val Belluna (Bellunese, Feltrino, territorio di Lentiai e Mel), Agordino comprendente nella parte più elevata il Livinallongo, Zoldano e Cadore comprendente anche l’Ampezzano, il Comélico e la conca di Sappada. Due le principali tipologie della dimora rurale individuate: alpina e prealpina. La prima, caratterizzata dalla facciata sempre sotto l’apice del tetto e rivolta al sole o a valle con i lati lunghi della costruzione disposti perpendicolarmente o quasi alle isoipse, presentava muri molto spessi, finestre piccole, ampi sporti, largo impiego di legno, grande sviluppo in cubatura del fienile, presenza della monumentale stufa semi cilindrica e rustico per lo più staccato dall’abitazione. La seconda aveva ingresso e facciata sotto la grondaia, i lati lunghi della costruzione possibilmente paralleli, o quasi, alle curve di livello; il tetto a falde poco aggettanti o, tutt’al più, sporgente solo sulla facciata, crescente impiego del cotto, sia nelle opere murarie sia nella copertura, scarso uso del legno perché i ballatoi avevano modesto sviluppo e la copertura tipica era quella di lastre di pietra o paglia e, nel periodo della ricerca, di tegole ricurve, limitata cubatura del fienile, presenza di tettoie per riparare carri e attrezzi agricoli, rustico per lo più giustapposto all’abitazione. In occasione della mostra venne pubblicato il catalogo Le dimore rurali del bellunese: immagini, 1925-1955, a cura di Daniela Perco, con un’ampia introduzione di Elio Migliorini. La mostra, gentilmente concessa dal Museo etnografico della provincia di Belluno e del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, è visitabile fino al 30 settembre prossimo con il seguente orario: sabato dalle 16.00 alle 19.00 e domenica dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00.