Tutto esaurito in Sala Bianchi questa sera, venerdì 18 marzo, per il convegno dal titolo “Disturbi alimentari: se conosco, riconosco” organizzato dall’Associazione Margherita.
La tavola rotonda è iniziata con l’intensa testimonianza di una mamma che ha ripercorso le vicissitudini della figlia per la quale il cibo era diventato un nemico. E’ seguita l’introduzione della presidente dell’Associazione Margherita, Luisa Ciprian, della consigliera Francesca De Biasi in rappresentanza del Comune di Belluno oltre che psicologa all’Ulss 1, e del direttore sanitario dell’Uls n.1 di Belluno Giovanni Maria Pittoni. Dopodiché il moderatore Pierluigi Svaluto ha dato la parola a Pierandrea Salvo, psichiatra responsabile del Centro per la cura e la riabilitazione dei disturbi del comportamento alimentare dell’Ulss n. 10 di Portogruaro, il centro più importante in Veneto per la cura dei disturbi alimentari.
“Il problema emerge quando si rompe qualcosa – ha detto il dottor Salvo – ma c’è un tempo lunghissimo da quando ha inizio il disturbo con le sue complicanze”. Il medico ha parlato della pressione dei mass media, di modelli e canoni estetici. “L’anoressia nei giovani – ha sottolineato – (con un rapporto di 9 ragazze ogni ragazzo) è la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali”. Dagli anni ’70 è cambiato anche l’approccio alla malattia. “Allora si riteneva che il fattore scatenante fosse da ricercare nella famiglia. Oggi è nella famiglia che si cerca la soluzione con il coinvolgimento”. Anche il complesso di colpa che talvolta affligge i genitori secondo lo psichiatra va rimosso, “qualunque malattia – ha detto – non è un errore, ma una disgrazia che capita”. “Oggi l’età di esordio si è abbassata e precede la pubertà. Abbiamo ragazzine di 10 anni alimentate con i sondini altrimenti muoiono”. Ed è importante – secondo il dottor Salvo – intervenire nei social media e nei forum, dove i giovani vanno ad informarsi. Rispetto alle altre regioni il Veneto dispone di una rete capillare, con centri specializzati che garantiscono 2-3mila visite l’anno. “La sfida ora – ha concluso Salvo – è quella di riuscire a far accedere ai nostri centri anche quelle patologie non riconoscibili perché non modificano l’aspetto esteriore, e tuttavia sono ugualmente fonte di sofferenze”.
Il dottor Bruno Forti, primario psichiatra dell’Ulss 1 ha illustrato il lavoro di equipe del Centro di Belluno, sottolineando le difficoltà dovute alle risorse disponibili. Sotto il profilo medico, ha posto l’accento sull’autostima, quale meta per il recupero dei pazienti.
Il dottor Alberto Cestaro, medico psichiatra del Centro di primo livello per i DCA di Feltre, aperto 2 anni fa anche su spinta dell’Associazione Margherita, ha attualmente in cura 55 pazienti di cui 26 per anoressia. “Il fenomeno è epidemico – ha detto – e quando ciò succede, la società deve porsi degli interrogativi”. Cestaro ha richiamato l’attenzione innanzitutto all’importanza della diagnosi da parte dei medici di base, con l’auspicio che contattino i centri. E, parlando di fattori di rischio precoci, ha chiamato in causa il mondo della scuola, dove – ha detto – “va fermata la competizione”. Sulla famiglia Cestaro ha concordato con i colleghi che l’hanno preceduto “Per noi – ha detto – la famiglia è il primo passo di cura. Il primo lavoro avviene nella famiglia, che va indirizzata secondo un percorso indicato”. Cestaro ha concluso il suo intervento illustrando la strategia impiegata in una clinica specializzata sui disturbi alimentari di Stoccarda, da lui visitata nel 2009, che vantava l’80% delle guarigioni. “Nel centro, che aveva in cura una decina di giovani, l’equipe medica parlava ai loro sentimenti. Perché sono i sentimenti molto danneggiati in questo tipo di disturbi”.