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Al carcere di Belluno 80 prigionieri su 95 concentrati sul 10% della struttura. Un solo educatore per tutti. Riabilitazione o mera custodia? * di Maria Grazia Lucchiari

Carcere di Belluno
Carcere di Belluno

80 persone su 95 detenute al carcere di Belluno risiedono nel 10% dello spazio della struttura: tre piani in cui le celle del primo e secondo si affacciano su uno stretto ballatoio, 80 cm di corridoio a disposizione per la circolazione durante la “vigilanza dinamica”, l’apertura delle celle per otto ore al giorno. Una misura adottata a seguito alla sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha dichiarato la violazione da parte del nostro Paese dell’articolo 3 della Convenzione che stabilisce il divieto di tortura, pene o trattamenti inumani o degradanti. Di fatto, la vecchia struttura del Baldenich costringe 80 uomini a concentrarsi al piano terra della sezione e stazionare in ozio per buona parte della giornata, sovraffollando l’unico spazio disponibile. Le celle ospitano 5 persone alloggiate in 20 metri quadrati compreso 2/3 letti a castello e il mobilio. In un metro quadrato c’è il bagno con la turca e un piccolo lavello di 25 cm in cui si lavano anche le stoviglie e gli utensili del pasto. Non c’è bidè e non è erogata l’acqua calda. Un’unica stanza al piano terra dispone di sei piatti doccia al servizio di 80 persone: non ci sono panchine per appoggiare gli indumenti e appendini per gli accappatoi. Un solo educatore segue 95 detenuti, contro i tre previsti dalla pianta organica, per la figura centrale che ha il ruolo di osservazione e trattamento della persona che dovrebbe essere nelle sezioni a fianco degli operatori di polizia. E’ la fotografia della visita fatta all’istituto nei giorni scorsi da una delegazione del Partito Radicale coordinata dall’ex On. Rita Bernardini e composta da Maria Grazia Lucchiari, Fiorenzo Donadello, Giovanni Patriarca. Alla visita si è unito Sergio Marchese, consigliere comunale di Belluno per il Movimento 5 Stelle. Sono 93 gli agenti di polizia penitenziaria in servizio. La capienza regolamentare per i detenuti dell’istituto è di 87 posti. La nota positiva riguarda il lavoro, che impegna 30 persone in attività di assemblaggio al servizio di due cooperative e 12 persone nella pulizia dell’istituto. L’età media dei reclusi è tra i 30/40 anni. Il 64% sono stranieri, 11 transgender per lo più brasiliani e colombiani, il 29% tossicodipendenti, 7 i sieropositivi, 12 affetti da epatite C, 1 con malattie infettive, 12 i casi psichiatrici. Nel 70% dei reclusi si riscontrano patologie che richiedono la terapia farmacologica. Accompagnati nella visita dalla direttrice dell’istituto Tiziana Paolini e dal commissario capo Domenico Panatta i reclusi ci presentano i loro problemi. Mohamade è quasi a fine pena e vorrebbe chiedere gli arresti domiciliari ma attende l’educatore da tre mesi. El Argoubi da tre mesi e mezzo non vede l’educatore. Costin chiede il trasferimento in Romania, ha i documenti necessari per ottenerlo e attende l’educatore da mesi. Berisha è in istituto da tre mesi, ha chiesto l’espulsione ma l’educatore non lo chiama. Cumali proviene dal carcere di Trieste dove poteva telefonare ogni settimana, mentre ora può farlo solo due volte al mese e da due mesi chiede inutilmente di incontrare l’educatore. Amarildo da tre mesi attende la risposta alla domanda di poter fare una telefonata in più, oltre alle 2 concesse in un mese. Un ragazzo serbo ci mostra la sua sua cella senza riscaldamento da 20 giorni: è umida e fredda, una finestra è rotta, la perdita d’acqua dal tubo della condotta ha ammuffito il soffitto, il suo compagno di cella si è ammalato di sinusite ed è in cura antibiotica. Nel 2015 in istituto si sono consumati 30 atti di autolesionismo, e chi frequenta le carceri non può fare a meno di intravvedere nelle braccia di tanti detenuti, sui loro stomaci, sul collo i tagli sulla pelle, il linguaggio estremo per attirare l’attenzione dell’amministrazione penitenziaria. I colloqui che i ristretti hanno con i famigliari, 6 ore al mese, devono sottostare ad una disposizione della direzione dell’istituto: il tempo impiegato per la conversazione con il garante dei diritti delle persone private della libertà del comune di Belluno viene sottratto a quello dedicato all’incontro con i famigliari. E’ evidente che per superare il concetto di sicurezza come mera custodia del detenuto e passare ad un effettivo trattamento e risocializzazione occorrerebbe ripensare spazi e organizzazione, migliorare le condizioni di vita e le relazioni con l’esterno valorizzando quanto di meglio ciascun istituto può dare.

Maria Grazia Lucchiari – Consiglio direttivo Associazione Nessuno tocchi Caino

http://www.nessunotocchicaino.it

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