La Camera ha approvato ieri, martedì 4 dicembre, la legge sull’equo compenso per i giornalisti. Stiamo parlando di “un numero consistente di precari costretti a lavorare per meno di 5 euro lordi ad articolo, spese comprese” come ha sottolineato il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto, Gianluca Amadori. Il mondo del giornalismo, infatti, è molto vario, vi sono professionisti di punta e direttori di grandi testate che sono ben pagati e freelance, precari e collaboratori autonomi fermi alla “rivoluzione industriale” dei primi del ‘900, sotto il profilo dei contratti di lavoro. Non fanno eccezione i quotidiani locali dove le collaborazioni sono pagate poco o nulla. Esemplificativo l’aneddoto di Giampiero Mughini, scrittore, opinionista, giornalista, che raccontava d’aver incontrato un giorno tre persone che gli chiesero di scrivere qualcosa per loro. Gratis, naturalmente. Ebbene – dice Mughini – nessuno si sognerebbe mai di chiedere un intervento gratuito ad un idraulico o a un elettricista. Al giornalista sì, perché evidentemente scrivere un articolo non è percepito come un lavoro, una professione. Lo stesso sono abituati a fare gli editori, che oltre a ricevere contributi dallo stato, erogano compensi da fame a chi non ha un regolare contratto a tempo indeterminato.
Ora, con la nuova legge, le cose dovrebbero cambiare. L’articolo1 definisce compenso equo la corresponsione di una remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Con l’articolo 2, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, viene istituita una Commissione presso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri in carica 3 anni per la valutazione dell’equo compenso. La Commissione deve redigere un elenco dei quotidiani, dei periodici, anche telematici, delle agenzie di stampa e delle emittenti radiotelevisive che garantiscono il rispetto di un equo compenso. L’articolo 3, stabilisce che dal 1 gennaio 2013, la mancata iscrizione in tale elenco per un periodo superiore a sei mesi comporta la «decadenza dall’accesso» ai contributi statali in favore dell’editoria.