«Non dire mai a un “mona” che è un “mona”, o l’avrai sempre contro, mi diceva sempre Celio, un bracconiere di Erto». Lo ha detto questa sera (lunedì 14 gennaio) Mauro Corona, alpinista, scultore e scrittore ospite dell’incontro “Dove nevica non firmato” organizzato dal Panathlon Club Belluno al centro Giovanni 23mo, per i 50 anni dalla fondazione. Dopo l’intervento del presidente del Club Filiberto Dal Molin, che ha consegnato l’attestato per il 90mo compleanno del socio fondatore e presidente onorario avvocato Livio Dalla Bernardina, la moderatrice Adriana Lotto ha rivolto alcune domande a Corona. L’autore di Erto, 14 libri, 2 milioni di copie vendute, di cui 160mila con “La fine del mondo storto” non si è fatto pregare ed ha iniziato il suo crescendo sulla montagna, intesa come fatica. «Faticare rende quasi invulnerabili. Senza fatica siamo diventati repressi. Ci sono “faticatori” e “riposatori”, da noi a Erto eravamo una terra di “faticatori”, ora vanno in macchina per fare 400 metri». Se la prende con i giornalisti gastronomici, quelli che danno le pagelle ai ristoranti, e dai quali dipende il successo del locale. Insiste sulla necessità di educare i ragazzini ad imparare a nuotare, a riuscire ad accendere un fuoco, a sapersela cavare in situazioni d’emergenza, insomma. «Nelle scuole devono entrare guide alpine, artigiani e contadini». E cita Sandro Marai autore de “Le Braci” secondo il quale la letteratura è buona parte espressione di vanità. «Come l’alpinista che si fa fotografare con il ghiaccio nella barba. Piccole vanità». Il finale lo riserva per spogliare dalle convenzioni l’uomo. Per non sentirsi “una liana del bosco” che nei primi libri raccontava di fiori e alberi. «L’uomo riesce a fare qualcosa insieme quando c’è un pericolo globale. Solo quando c’è paura vera ci si dà una mano, perché se non lo fai sei morto». <e anche negli ultimi “romanzi allucinati” come egli stesso definisce “Il canto delle manere” e “La fine del mondo storto”, c’è la costante dell’uomo che deve combattere fino all’ultimo per salvarsi dalla morte. E per sopravvivere dal freddo decide di bruciare sedie, tavolo, letto, eppoi i libri i quadri e il crocifisso. «Perché nessuno vuole morire, nemmeno per un Caravaggio»! Una situazione limite che gli ha attirato molte critiche.