Chi è uscito dall’Audi Palace di Cortina ieri sera (lunedì 9 agosto), in una serata inaspettatamente mite che invitava a passeggiare per Corso Italia, ha le idee un po’ più chiare del quadro geopolitico internazionale. Quello tracciato dall’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle ad oggi, riferito all’inafferrabile Osama Bin Laden. A parlare della questione sul palco di Cortina InContra c’erano Carlo Panella, giornalista, autore de “Ayatollah atomici” (Mursia); Stefano Dambruoso, responsabile attività internazionali Ministero Giustizia; Carlo Jean, esperto strategie militari e geopolitica, autore de “Italiani e forze armate” (Franco Angeli); Toni Capuozzo, giornalista TG5, conduttore Terra; Guido Rampoldi, giornalista La Repubblica; con moderatore Andrea Zanini. C’è una taglia di 25 milioni di dollari sulla testa di Bin Laden, ma lui fa ancora paura? Per Toni Capuozzo si tratta di un falso problema, perché “questa primula rossa che vanta il primato di non catturabilità è lo specchio delle incertezze politico-militari dell’occidente”. Per D’Ambruoso “oggi vi sono 400-500 persone in Europa non identificate che aderiscono alla filosofia di Bin Laden”. E comunque, secondo Carlo Panella, il fatto che Bin Laden sia vivo o morto è irrilevante. Il problema è che “il mondo islamico non è riuscito ad isolare e arginare il terrorismo. Un esempio per tutti: nessuna voce di sdegno si è levata dal mondo islamico per il recente massacro degli 8 medici in Afghanistan, uccisi solo perché avevano in tasca la Bibbia. Di più: sono 5mila i musulmani uccisi dai terroristi islamici, ma non c’è una condanna netta dei mullah dalle moschee”. Il motivo lo spiega il generale Jean (già comandante della disciolta Brigata Alpina Cadore a metà degli anni ’80), “il terrorismo islamico ha radici profonde”! E fa l’esempio delle Brigate rosse, sconfitte appunto perché non erano radicate, a differenza della mafia che è nata ai tempi dell’invasione normanna. Inoltre, spiega Jean, “il Corano ha due letture, ci sono i discorsi tolleranti di Maometto a Medina, e quelli de La Mecca, con i Libri della spada”. “Oggi c’è un antico mondo feudale islamico che è terminato – ha detto Rampoldi – e che è alla ricerca di una sua nuova collocazione”. Sta quindi anche all’Occidente riuscire a dialogare con la componente moderata dell’Islam. Che Panella identifica, ad esempio, negli stati del Marocco e della Giordania dove i regnanti stanno sostenendo i diritti di donne e bambini. Sotto il profilo militare “il grosso dell’organizzazione terroristica è stata smantellata – ha detto Jean – oggi sono rimasti solo lupi solitari, con il fai da te”.
Ma D’Ambruoso parla chiaro e dice: “qualcuno dovrebbe spiegare perché siamo in Afghanistan, dicendo chiaramente che vi sono questioni geopolitiche alla base e per contrastare il terrorismo che non ha più nulla a che fare con quello dell’11 settembre”. “Ma se questa è una sporca guerra – sostiene Capuozzo – prima c’era una pace disgustosa governata da talebani che lasciavano morire per strada i bambini”! Pannella fa notare che la popolazione è terrorizzata dai talebani; e del resto “nessun paese islamico alleato all’occidente ha inviato in Afghanistan contingenti militari. Perché se l’avessero fatto si sarebbero sollevati i mullah dalle moschee. E dunque la via d’uscita deve partire da una reazione che provenga dal mondo islamico”. Per il generale Jean la strategia giusta è quella di continuare a colpire il terrorismo fuori dai nostri confini nazionali, per impedirne l’espansione. Il termometro internazionale per monitorare l’evolversi della situazione – spiega il generale Jean – è rappresentato oggi dalla Nigeria: se cadrà in mano ai fondamentalisti significa che il terrorismo avanza nel mondo”. Le battute finale, e anche più inquietanti della serata le pronuncia Carlo Panella: “ci troviamo nella situazione analoga al 1938, quando il premier britannico Chamberlain, il maggior sostenitore della politica di appeasement alla vigilia della II Guerra mondiale, fu tiepido con Hitler ritenendo che si accontentasse della Cecoslovacchia, come ristoro delle troppo pesanti sanzioni conseguenti la I Guerra mondiale. L’Iran oggi – ha concluso Panella – assomiglia maledettamente alla Germania degli anni ’30”!
Roberto De Nart