Qual è il filo conduttore che lega l’eliminazione di Saddam Hussein da parte degli americani nel 2003 nella II^ Guerra del Golfo, l’eliminazione di Gheddafi nell’ottobre del 2001 da parte dei ribelli appoggiati dalla Francia e il fallito attentato a Hugo Chavez nel 2002, presidente del Venezuela dal 1999 al 2013, che poco prima di morire accusa i governi europei di aver rubato 200 miliardi di dollari alla Libia facendoli passare per i conti personali di Gheddafi.
Ebbene, la spiegazione dell’eliminazione dei due dittatori Saddam e Gheddafi, che come vedremo ebbero in comune l’idea di allontanarsi dalla moneta ufficiale americana, la successiva crisi araba e tutto ciò che ne è seguito, il colpo di stato in Venezuela contro Chavez che aveva rafforzato l’Opec (L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) e anche la crisi in Ucraina e in Siria, è contenuta nel discorso pronunciato il 15 febbraio 2006 da Ron Paul, membro della Camera dei rappresentati degli Stati Uniti d’America, ossia uno dei due rami del Congresso (l’altro è il Senato) che ha sede nella capitale federale Washington, oltre che ex candidato alla Casa Bianca.
“Cent’anni addietro si chiamava “diplomazia del dollaro”. – afferma Ron Paul prendendo la parola di fronte alla “House of Representatives” – Dopo la II Guerra Mondiale, e soprattutto dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1989, questa diplomazia lasciò il posto a una vera e propria “egemonia del dollaro”. Oggi la regola è: “Colui che stampa la moneta detta le leggi”, almeno per il momento. Indurre o obbligare Paesi stranieri, mediante la propria superiorità militare e il controllo sulla stampa di moneta, a produrre e quindi a finanziare il proprio Paese.
Quando la carta moneta viene rifiutata, o quando l’oro finisce, la ricchezza e la stabilità politica sono perse.
Le élite del mondo monetario, appoggiate fortemente dalle autorità americane, perfezionarono un accordo con l’OPEC in modo da fissare il prezzo del petrolio esclusivamente in dollari per tutte le transazioni mondiali. Questo conferì al dollaro una posizione privilegiata e, in essenza, agganciò il dollaro al petrolio. In cambio, gli Stati Uniti promisero di proteggere gli stati ricchi di petrolio sparsi intorno al Golfo Persico da invasioni o da rivolte interne. Questo accordo contribuì fortemente ad infiammare il movimento islamico radicale che, in quelle regioni, si opponeva all’autorità americana. L’accordo diede inoltre un forza artificiale al dollaro, con incredibili benefici economici e finanziari per gli Stati Uniti. Ci permise di esportare la nostra inflazione monetaria comprando petrolio e altri beni all’estero, con vantaggi crescenti all’aumentare dell’influenza mondiale del dollaro.
L’accordo negli anni ’70 con l’OPEC, riguardante la determinazione del prezzo del petrolio esclusivamente in dollari, diede una incredibile forza, benché artificiale, al dollaro stesso, che divenne la più importante valuta mondiale. Questa situazione ha creato una forte domanda per la valuta statunitense, domanda che ha assorbito gli enormi quantitativi di moneta immessi dalla Fed ogni anno. Nell’ultimo anno la Massa Monetaria definita come M3 è aumentata di oltre 700 miliardi di dollari.
L’agganciamento del dollaro al petrolio sarà difeso per permettere al dollaro di perpetuarsi come valuta principale. Ogni attacco a questa relazione sarà in futuro come in passato combattuta con la forza.
Nel novembre del 2000 Saddam Hussein chiese in cambio del suo petrolio Euro invece che Dollari. La sua arroganza venne percepita come una grande minaccia per il dollaro; militarmente l’Iraq non ha mai impensierito gli Stati Uniti. Alla prima riunione con la neoeletta amministrazione nel 2001, secondo quanto dice il ministro del tesoro Paul O’Neill, l’argomento principale fu come sbarazzarsi di Saddam Hussein, benché non fosse chiaro che tipo di minaccia rappresentasse. La gran preoccupazione sul caso Saddam sorprese e scioccò O’Neill.
Tutti ormai sanno che l’immediata reazione dell’amministrazione agli attacchi dell’11 settembre si estrinsecò nel come collegare Saddam Hussein a questi attacchi, per giustificare un’invasione o per ribaltare il suo governo. Nonostante non ci fosse nessun esplicito collegamento all’11 settembre, o evidenza di armi di distruzione di massa, il supporto della Nazione per giustificare la deposizione di Saddam, così come quello del parlamento, fu ottenuto attraverso distorsioni o false rappresentazioni dei fatti.
Non ci fu alcuna denuncia pubblica della correlazione tra la rimozione di Saddam e l’attacco all’integrità del dollaro come valuta mondiale. Alcuni credono che questa sia la vera ragione a capo della nostra ossessione sull’Iraq. Io dubito che fosse la sola ragione, ma credo che abbia avuto un’importanza significativa sulla decisione finale. Poco dopo la vittoria militare, tutte le esportazioni petrolifere irachene tornarono ad essere scambiate in dollari. L’Euro fu abbandonato.
Nel 2001, l’ambasciatore venezuelano in Russia fece trapelare che il suo Paese era intenzionato a richiedere Euro per le esportazioni di petrolio. Dopo un anno ci fu un tentativo di golpe ai danni di Chavez, con l’assistenza della CIA.
Il dollaro arrestò la propria caduta proprio grazie a questi tentativi di salvataggio.
Questi eventi sono stati fondamentali per il mantenimento del dollaro come valuta mondiale.
Oggi, un nuovo evento minaccia l’integrità del sistema del petrodollaro. L’Iran, uno dei paesi membri dell'”Asse del male” ha annunciato di voler creare nel marzo di quest’anno una Borsa dove negoziare il petrolio. E indovinate un po’, il petrolio verrà scambiato in euro e non in dollari, la banconota che noi dichiariamo di essere l’oro del XXI secolo. Ecco perché quei paesi che provano a sfidare questo sistema – come l’Iraq, l’Iran e il Venezuela – diventano nostri obbiettivi per un cambio di regime”.
L’intervento di Ron Paul alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, combacia perfettamente con i fatti accaduti. Il 19.03.2011 la Risoluzione Onu n.1973 dà il via ai bombardamenti alla Libia di Gheddafi per proteggere – si dice – i civili vittime del regime. Alle operazioni partecipano Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Non dimentichiamo che la Libia, con i suoi 46,5 milioni di barili di riserve petrolifere, è la più grande cassaforte dell’Africa di questo combustibile. L’attacco alla Libia avviene quando Gheddafi decide di staccarsi dal Fondo monetario internazionale per aderire al Fondo monetario africano dove aveva messo un capitale iniziale di 42 milioni di dollari.
Il generale americano Wesley Clark, ex comandante generale delle truppe della Nato, in una intervista di una decina di giorni successiva all’attacco alle Torri gemelle di New York, riferisce di una sua conversazione privata con un altro generale avvenuta al Pentagono, dove quest’ultimo gli rivela il contenuto di un memorandum del ministero Difesa: “Faremo fuori 7 nazioni in 5 anni: Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan, Iran”.
La strategia posta in essere per destabilizzare degli stati sovrani è molto semplice. Sono i mezzi e le risorse impiegate, eventualmente, che pongono tali azioni alla portata esclusiva dei servizi segreti di grandi potenze. In questo caso ci riferiamo alla Cia. Il copione è sempre quello, nella prima fase si finanzia la protesta di una qualche fazione interna allo stato da disgregare che ha disturbato gli Usa. I movimenti scendono in piazza e lo stato deve quindi intervenire per arginare il malcontento. Nell’ipotesi che non succeda ancora nulla scatta la fase due. Qui entrano in scena i cecchini, come avvenne nel 2002 con il fallito golpe al presidente venezuelano Chavez. L’intervento armato fa degenerare il conflitto, si cominciano a contare i morti. Le colpe vengono addossate al governo. Siamo alla fase 3, con richiesta d’intervento delle Nazioni unite sostenuta dall’opinione pubblica, per difendere il popolo. Il tutto è supportato da agenzie di stampa che forniscono un quadro della situazione dove occorre intervenire per salvare il popolo dalla violenza dello stato. Se il governo cede il potere, subentrano i ribelli, che chiedono di togliere dalle mani dei dittatori le imprese dello Stato. E così iniziano le svendite ai privati come è successo in Russia con Eltsin.
In questo modo si possono acquistare le imprese pubbliche a prezzo di svendita. Se il governo non cede ai ribelli, si elimina suo leader.
Gheddafi, infatti, sconfigge i ribelli e si oppone alla cessione delle sue risorse. Per questa ragione viene giustiziato il leader libico che, intendiamoci, era un dittatore senza tanti scrupoli che non esitava ad eliminare i suoi oppositori. E tuttavia, come Saddam, era riuscito a creare un certo equilibrio, rotto solo dal suo progetto di commercializzare liberamente il suo petrolio senza il vincolo del dollaro come moneta di scambio.
Ciò che succede oggi in Ucraina e in Siria presenta molte analogie soprattutto sotto il profilo della campagna mediatica, a situazioni già viste.
Ma come viene finanziata la protesta interna negli stati da piegare?
Il flusso di denaro corre attraverso le Ong, le organizzazioni non governative. In Ucraina sono attive la Pact Inc che fa capo all’Agenzia per lo sviluppo internazionale degli Usa, la Omidyar Foundation di Pierre Omidyar (il fondatore di eBay) e la moglie, la International Renaissance Fundation (Irf) del miliardario americano Soros e la National Endowment for Democracy (Ned) cassaforte della Cia, nata nel 1983 con il presidente Reagan.
A puntare il dito sulle “crisi programmate e provocate in Libia e Siria” è il presidente venezuelano Hugo Chavez, che l’8 ottobre 2012, il giorno dopo la sua rielezione, in una conferenza stampa parla della “sottrazione” dei 200 miliardi di dollari di riserve libiche dopo l’assassinio di Gheddafi. Chávez accusa l’imperialismo, gli Usa, che destabilizzano, bombardano i civili con i droni laddove vi sono governi non graditi. “il governo degli Stati Uniti è uno dei maggiori responsabili di questo disastro. ”
Mentre i media e le classi dirigenti europee e nordamericane non raccontano com’è nata la crisi e da quali mani è stata peggiorata”.
Per ultimo, il caso Serena Shim, una giornalista americana di origini libanesi. Lavorava per Press Tv Istanbul. E’ morta un anno fa, la versione ufficiale parla di incidente stradale. Sosteneva che il governo di Ankara avesse legami con lo Stato islamico. Aveva parlato dell’infiltrazione di guerriglieri in Siria attraverso la frontiera turca e in diretta televisiva aveva affermato di avere le immagini di questi miliziani che entravano in territorio siriano, nascosti nei camion di organizzazioni umanitarie e del programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite.
E intanto la lista dei governi poco graditi si allunga. In futuro converrà osservare attentamente cosa succederà a Iran, Cuba, Sudan,Nord Corea, Venezuela, Bielorussia.
(rdn)