Seicento secolo di ferro, Seicento disprezzato come periodo di decadenza e di scarsa cultura, di sudditanza allo straniero. Così, almeno, è spesso considerato. E, anche per questo, poco studiato e conosciuto. A colmare la lacuna ci ha pensato ora il giornalista e storico Sante Rossetto con il suo corposo volume “Vivere nel Seicento. Una città veneta ai tempi della Serenissima” pubblicato con i tipi della veronese Betelgeuse. Uno studio che si occupa anche di Belluno e Feltre. Perché le due podesterie erano soggette alla camera fiscale trevigiana. Cioè il ricavato del fisco doveva essere versato ai camerlenghi trevigiani, i due funzionari veneziani preposti a questo compito.
Lo studio del giornalista trevigiano analizza tutti gli aspetti della vita quotidiana dall’amministrazione alla giustizia, al mondo del lavoro, alla sanità, alla cultura fino all’organizzazione militare, all’abbigliamento, alla tavola, ai giochi e all’informazione.
Il territorio bellunese era diviso nelle due podesterie di Feltre e Belluno oltre la Magnifica Comunità di Cadore. Feltre era strettamente legata alla podesteria trevigiana che comprendeva le ville di Alano (Lan), Quero e Vas, tre punti nevralgici del sistema difensivo e delle comunicazioni tra pianura e montagna. Quero abbracciava anche la stretta omonima sul Piave, che giuridicamente si reggeva come castellania autonoma. Fu lì che nella guerra cambraica, che causò i due incendi di Feltre, fu fatto prigioniero Girolamo Emiliani (o Miani), comandante della fortezza. Il capitano veneziano fu poi liberato dalle catene, si racconta, per l’intervento della Madonna. In seguito a questo miracolo Girolamo si diede alla vita religiosa fondando la congregazione dei Somaschi. Il suo vincitore, il greco-albanese Mercurio Bua, passato poi ai veneziani, trascorse la vecchiaia a Treviso e fu sepolto nella chiesa della Madonna Granda dove ancor oggi sono conservate le catene di Girolamo.
Ma Rossetto racconta anche, nel capitolo dedicato alla giustizia, di quel frate agostiniano di un convento feltrino che fu bloccato in una casa di Vas mentre stava tentando di stuprare una bambina. Sfuggito al linciaggio fu rinchiuso per una decina di anni in un carcere veneziano.
Gli intellettuali bellunesi in questo secolo dovevano spesso scendere a valle per farsi stampare le loro opere. Anche se negli anni trenta del secolo avevano a disposizione la tipografia a Belluno del Vieceri che stampò le opere del vescovo Lollino. Ed ecco Giacomo Antonio Chiavenna, canonico, che pubblica con il Righettini l’opera di botanica intitolata “Clavis Clavennae aperiens naturae thesaurum”; ecco “L’Abecedario scolastico, et christiano” per gli scolari bellunesi stampato a Conegliano nel 1673; ecco inoltre Ercole Doglioni con alcuni opuscoli elogiativi.
Belluno e Feltre entrano nello studio di Rossetto anche nel capitolo della sanità. La città del Piave era una delle più munifiche nei compensi dei medici. Nel 1604 il coneglianese Ottaviano Graziani, medico a Belluno, guadagnava 800 ducati annui, mentre il suo collega che lavorava a Feltre doveva accontentarsi nello stesso periodo di soli duecento, aumentati alla metà del secolo a cinquecento.
Il lavoro del giornalista e storico trevigiano si qualifica come uno dei pochi punti fermi su questo secolo misconosciuto e “dimenticato” dagli studiosi. Un volume che è un panorama a tutto campo sulla vita quotidiana. Distinguendo sempre quella che era la qualità della esistenza dei ceti privilegiati e quella faticosa e a volte disperata delle classi subalterne cui va la simpatia dell’autore.
Un libro costruito in oltre mezza dozzina d’anni di lavoro d’archivio, ma scritto come un lungo racconto accessibile anche ai non specialisti. In maniera che la storia non rimanga, più o meno volutamente, un “giardino” per pochi eletti.