Animali e dintorni

Occorre abbattere i cinghiali per limitarne i danni?  di Carlo Consiglio 7 gennaio 2014

Da oltre 30 anni il cinghiale arreca gravi danni all’agricoltura in tutta Europa; le autorità decretano abbattimenti, ma l’ammontare dei danni ciononostante continua a crescere. Evidentemente la caccia non è un metodo efficace per prevenire o ridurre i danni. La soluzione può venire solo dalle più recenti ricerche sull’etologia e l’organizzazione sociale dei cinghiali stessi, da cui sembra risultare che il disturbo arrecato dalla caccia causi un aumento della fertilità e quindi dei danni. Metodi efficaci sembrano essere invece le recinzioni elettriche e la pasturazione in foresta.

cinghialeIl cinghiale (Sus scrofa) è diffuso in gran parte dell’Europa e dell’Asia (eccetto le parti più settentrionali). Nel 1911 il cinghiale era assente in Italia settentrionale ed aveva una distribuzione in Italia peninsulare assai ridotta26. Il livello minimo della distribuzione si raggiunse con la seconda guerra mondiale. Negli ultimi 30 anni, l’areale del cinghiale in Italia si è più che quintuplicato. Cause di questo fenomeno sono state lo spopolamento della montagna con conseguente recupero del bosco, nonché le immissioni a scopo venatorio, che sono state fatte spesso con soggetti provenienti da allevamenti, ed anche appartenenti a sottospecie non autoctone e perfino ibridati con maiali domestici46. È probabile che ciò abbia condotto ad un aumento della fertilità, perché è noto che gli animali domestici sono in genere più prolifici dei loro antenati selvatici, ed è quindi verosimile che anche l’ibrido tra un animale domestico ed uno selvatico, avendo caratteri intermedi, sia più prolifico dell’antenato selvatico.

IMPORTANZA DEI DANNI

I danni causati dal cinghiale sono molto rilevanti; basti considerare che, secondo Toso & Pedrotti, “sino all’80% dei fondi a disposizione delle Amministrazioni provinciali per far fronte all’impatto causato dalla fauna selvatica sulle attività antropiche di interesse economico vengono (…) annualmente destinati al risarcimento dei danni causati dal cinghiale”46. In Francia i danni arrecati dai cinghiali nel 1982 ammontavano a 24 milioni di franchi; i danni ai cereali erano soprattutto alla semina ed allo stadio lattiginoso48. In tutta Europa il cinghiale arreca danni all’agricoltura per oltre 80 milioni di euro all’anno32.

 

STRUTTURA DI POPOLAZIONE

I cinghiali vivono normalmente in gruppi sociali (compagnie) formati da 1 a 23 individui (Dardaillon7) o da 4 a 34 individui (Vassant ed altri49). Questi gruppi sono formati da femmine dell’anno e adulte oppure solo femmine dell’anno, ed eventualmente i loro piccoli. Le femmine lasciano la compagnia al momento del parto, e la raggiungono di nuovo 2-3 settimane più tardi. La posizione dominante è occupata da una scrofa, spesso la più anziana, in ogni caso la più vigorosa25.

Secondo uno studio svolto in Haute-Marne (Francia) da Vassant ed altri, le compagnie sono formate unicamente da femmine e dai giovani dell’anno; i giovani maschi vi restano fino alla ristrutturazione (fase di rimaneggiamento dopo le nascite). Le compagnie mostrano una grande stabilità: mai una scrofa o una giovane femmina si è integrata nelle compagnie figlie al momento della ristrutturazione. Se la scrofa conduttrice scompare (uccisa nella caccia), un’altra femmina prende la guida della compagnia. Se tutte le femmine scompaiono, i giovani restano insieme senza integrarsi in altre compagnie né accogliere cinghiali estranei. Nessun cinghiale senza parentela può integrarsi in una compagnia, nemmeno al momento della ristrutturazione, come confermato da analisi genetiche49.

Anche Kaminski ed altri, in uno studio durato 12 anni su una popolazione della Francia orientale, hanno dimostrato che i gruppi sociali sono formati da femmine sorelle o cugine, e non contengono mai femmine non apparentate18.

In uno studio fatto in Giappone sulla sottospecie Sus scrofa leucomistax è stato trovato invece che ogni compagnia include una sola femmina adulta28.

I maschi di 8-9 mesi formano piccoli gruppi poco stabili, di 3-4 individui; poi diventano solitari14,25.

 

SINCRONIZZAZIONE DELL’ESTRO E DEL PARTO

Le femmine di quasi tutti gli ungulati europei o sono monoestre o hanno un breve periodo di estri ripetuti. Unica eccezione è il cinghiale nelle cui femmine il periodo fertile può talora estendersi a tutto l’anno1.

Delcroix ed altri hanno tenuto due gruppi di cinghiali femmine in recinti in condizioni seminaturali, in presenza o in assenza di maschi. Nel gruppo con presenza di un maschio tutte le femmine adulte partorivano entro 4-6 giorni. Nel gruppo senza maschi tutte le femmine mostravano un aumento del progesterone nella stessa settimana8. Il fatto che i piccoli di uno stesso gruppo siano in genere allo stesso stadio di sviluppo conferma che si ha sincronizzazione dell’estro7,11,14. Mauget in una popolazione che vive in ambiente naturale in Francia occidentale ha constatato una sincronizzazione delle nascite delle femmine dello stesso gruppo sociale entro 10-15 giorni23. La sincronizzazione dell’estro tra le femmine dello stesso gruppo sociale è dovuta al rilascio di feromoni30,42. Si ha quindi tipicamente una riproduzione stagionale regolata dall’ormone melatonina secreta dall’epifisi o ghiandola pineale, che è a sua volta influenzata dal fotoperiodo42. La sincronizzazione del parto tra le femmine dello stesso gruppo sociale conferma che vi è un meccanismo che causa la sincronizzazione dell’estro17,29. Delgado-Acevedo ed altri nei cinghiali inselvatichiti del Texas meridionale hanno trovato sincronizzazione dell’estro, che non influiva sull’accoppiamento promiscuo, con paternità multipla nel 33% delle cucciolate in 7 di 9 siti9. Maillard & Fournier hanno affermato che le nascite in Francia meridionale sono precoci (febbraio-marzo) e “sincronizzate” nelle annate in cui le ghiande sono abbondanti19; in realtà essi si riferivano alla distribuzione delle nascite dell’intera popolazione nell’anno, e non alla vera sincronizzazione che è un fenomeno che avviene all’interno del gruppo sociale.

 

INFLUENZA DELLA CACCIA SULLA SINCRONIZZAZIONE DELL’ESTRO.

In Canton Ticino (Svizzera) Moretti ha riscontrato una perdita della sincronizzazione dell’estro in una popolazione introdotta negli anni 1980 e cacciata, con una curva delle nascite bimodale con due picchi, uno in marzo ed uno tra giugno e luglio, con le femmine che si riproducono già nel primo anno di vita in maggior misura che in una popolazione naturale; questo fatto, insieme all’abbondanza di cibo, permette di prevedere un aumento della popolazione negli anni successivi27. Anche Apollonio ed altri affermano che negli ungulati poliestri (comprendenti anche il cinghiale), anche se tutte le femmine alla fine si riproducono, il continuo disturbo provoca il prolungamento del calore, con perdita della sincronizzazione dei parti. Essi osservano quindi che la caccia nel periodo degli accoppiamenti dovrebbe essere evitata, perché causa la dispersione dei gruppi1. Kaminski ed altri hanno osservato che le femmine dell’anno che restavano nel gruppo sociale in cui erano nate si riproducevano assai meno spesso di quelle che lo lasciavano prima di riprodursi, con differenza statisticamente significativa18. Secondo Meynhardt la scomparsa della scrofa conduttrice causa la disorganizzazione del gruppo, finché si formerà una nuova compagnia intorno a una scrofa che abbia saputo imporre la sua autorità25. Ma Rosell ed altri in Spagna sostengono che i gruppi sociali continuano ad usare l’area anche dopo l’uccisione o la cattura delle femmine adulte33. Anche se non fosse vero che la caccia disperde i gruppi sociali, è probabile che essa causi indirettamente un aumento della riproduzione e quindi dei danni, attraverso la perdita della sincronizzazione dell’estro.

 

INFLUENZA DELLA CACCIA SULLA RIPRODUZIONE IN GENERE

Herrero ed altri hanno confrontato due popolazioni iberiche di cinghiali, una nei Pirenei poco cacciata in foresta con molti rifugi, ed una nella Valle dell’Ebro intensamente cacciata in terreno agricolo con pochi rifugi, ambedue senza foraggiamento aggiuntivo, ed hanno trovato che nella popolazione intensamente cacciata quasi tutte le femmine restavano gravide già nel primo anno di età, mentre nella popolazione poco cacciata la maggior parte delle femmine non rimaneva gravida che nel secondo anno di età15. Servanty ed altri in una popolazione di cinghiali pesantemente cacciata in Haute-Marne nella Francia nordorientale hanno trovato un’alta percentuale di giovani riproducentisi già nel primo anno d’età, ed un abbassamento della soglia di peso oltre la quale la riproduzione avviene39. Gamelon ed altri in Francia nord-orientale hanno studiato una popolazione di cinghiali soggetta ad una pressione venatoria crescente per 22 anni consecutivi, trovando che le date di nascita si sono anticipate di 12 giorni durante l’intero periodo12. Sembra quindi che la caccia provochi l’aumento della prolificità e quindi della grandezza di popolazione e dei danni. In Scania (Svezia) Thurfjell ed altri hanno osservato aumento o diminuzione dei movimenti dei cinghiali nel giorno della battuta di caccia o nella notte successiva, cosa che in teoria potrebbe avere influenza sulla riproduzione43.

Come controprova, citiamo Cahill & Llimona, che in un parco urbano presso Barcellona, dove l’abbattimento dei cinghiali è permesso solo sul 10% della superficie, hanno osservato in un periodo di 8 anni un andamento della grandezza di popolazione abbastanza costante, con due picchi attribuiti all’abbondanza di ghiande4.

Invece Ditchkoff ed altri, confrontando tra loro due aree in America settentrionale, una in cui i cinghiali erano sottoposti ad abbattimenti e l’altra di controllo, sebbene in quest’ultima la densità del cinghiale fosse più del 65% maggiore, non poterono rilevare alcuna differenza tra le due aree per grandezza delle cucciolate, massa ovarica, e massa e numero dei corpi lutei10. Mauget in Francia occidentale ha osservato due stagioni di parti in alcune annate, attribuendoli all’abbondanza del cibo, con femmine che partorivano due volte nello stesso anno23. Anche secondo Graves la presenza di una seconda stagione riproduttiva in autunno in cinghiali rinselvatichiti è legata alla disponibilità di cibo14. Secondo Maillard & Fournier l’alta fertilità in certe annate è dovuta all’abbondanza di ghiande19. È probabile che ambedue le cause indicate da differenti Autori (la caccia e l’abbondanza del cibo) siano efficaci a provocare un aumento della fertilità. Toïgo ed altri in uno studio durato 22 anni asseriscono che nel cinghiale non vi è compensazione tra mortalità naturale e mortalità venatoria; a differenza degli altri ungulati che massimizzano la sopravvivenza dell’adulto, il cinghiale investe di più nella riproduzione, per cui anche i mezzi per controllare le sue popolazioni devono essere differenti45. Infine secondo Ježek l’aumentato successo riproduttivo dei cinghiali è dovuto al miglioramento climatico17.

 

 

INFLUENZA DELLA CACCIA SULLA GRANDEZZA DELLA POPOLAZIONE

Boitani ed altri affermano che il cinghiale è una specie molto adattabile con strategia “r”, il che implica che l’espansione delle popolazioni di cinghiali in Europa non può essere controllata con i modi di caccia tradizionali3. Toïgo ed altri in Francia hanno trovato che una popolazione pesantemente cacciata continuava ad accrescersi nonostante che la probabilità per un cinghiale di essere ucciso fosse superiore al 40% all’anno (70% per i maschi adulti) non compensata da alcuna riduzione nella mortalità naturale44. Servanty ed altri concludono che quando una popolazione è pesantemente cacciata, aumentare la mortalità in una sola classe d’età (ad esempio solo adulti o solo giovani) può non permettere di limitare l’accrescimento della popolazione40. Secondo Csányi la pressione venatoria è insufficiente per impedire l’accrescimento della popolazione di cinghiali; questi sono favoriti dall’aumento delle superfici forestali e dall’estensione dell’agricoltura che fornisce habitat adatto e cibo; inoltre la distribuzione sparsa dei distretti venatori fa sì che molti animali possano sfuggire verso zone dove non vengono cacciati6.

 

INFLUENZA DELLA CACCIA SUI DANNI

In provincia di Siena vi sono due diversi gruppi di popolazioni di cinghiali, ambedue sottoposti alla caccia. Nella parte occidentale della provincia (Val di Farma) il cinghiale è autoctono, è molto numeroso ma ha una struttura per classi di età ben equilibrata e non causa danni gravi all’agricoltura; il cibo viene somministrato solo in estate ed in foresta. Nella parte orientale (Chianti e Val di Chiana) il cinghiale è stato introdotto a scopo venatorio, viene foraggiato liberamente, è meno numeroso ma ha una struttura sbilanciata per classi di età, con prevalenza di individui giovani, e causa gravi danni all’agricoltura24. Sembra quindi che i danni arrecati dal cinghiale all’agricoltura dipendano dalla caccia e dalla gestione.

Secondo Boitani & Morini, in assenza di un adeguato programma di monitoraggio, eventuali interventi di prelievo potrebbero risultare inefficaci per ridurre i danni; addirittura la popolazione, sottoposta ad interventi inadeguati, potrebbe anche produrre danni maggiori2. Secondo Marsan ed altri “un esasperato prelievo non selettivo sul cinghiale produce subito la riduzione degli effettivi, ma questa riduzione viene immediatamente compensata da un aumento del tasso di incremento utile annuo della specie; una popolazione costituita prevalentemente da animali giovani tende a produrre maggiori danni di una naturale, indipendentemente dalla sua densità20”. Marsan ed altri dimostrano che la densità del cinghiale non è influenzata da una pesante pressione venatoria, e pertanto un aumento della pressione stessa non può ridurre i danni alle coltivazioni21. Secondo il rapporto dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica, “la forma di caccia attualmente più utilizzata, la braccata con i cani da seguito, crea spesso una destrutturazione delle popolazioni, caratterizzate da elevate percentuali di individui giovani, responsabili di un sensibile aumento dei danni alle colture”16. Secondo Thurnfjell ed altri il tipo di caccia influisce sulla strategia di difesa adottata dal cinghiale (fuggire o nascondersi) e quando questo adotta la seconda sceglie un cibo che non possa essere monopolizzato, con conseguenze sui danni; inoltre, in caso di cacce al seguito, alcuni cinghiali si allontanano fino a 20 km, ed in seguito alla fuga essi utilizzano maggiormente la foresta e le colture e meno i luoghi aperti; ciò può essere dovuto a competizione con gruppi di cinghiali residenti; quindi le femmine che fuggono da cacce al seguito possono aumentare il loro uso di campi coltivati, arrecando danni43. Infine Scillitani ed altri osservano che la caccia causa un aumento della mobilità dei cinghiali (per sfuggire alla caccia stessa) e quindi un aumento dei danni; consigliano pertanto di ridurre la pressione venatoria e soprattutto evitare battute di caccia nella stessa area a brevi intervalli di tempo38.

Un altro tipo di danno che potrebbe essere provocato dalla caccia, specialmente quella con molti cani e battitori, è quello di una maggiore diffusione della febbre suina classica (CSF)41.

Invece secondo le ricerche svolte in Svizzera da Geisser & Reyer gli abbattimenti sarebbero l’unico metodo efficace per ridurre i danni dei cinghiali13.

 

MISURE ALTERNATIVE ALL’ABBATTIMENTO

Reimoser & Putman osservano che basse densità di ungulati non sono sempre associate con danni ridotti, né alte densità con danni elevati. Essi ribadiscono con forza che il solo controllo del numero degli ungulati può non essere efficace per ottenere una riduzione del danno e che occorre esplorare approcci alternativi quali recinzioni, foraggiamenti, metodi culturali, ed altri32.

In Francia i repellenti chimici (odorosi e gustativi) hanno dato scarsi risultati; quelli acustici sono inefficaci. Le recinzioni elettriche invece hanno dato buoni risultati: le superfici coltivate a mais distrutte sono state 114 ettari con protezione e 246 ettari senza protezione (Vassant & Boisaubert)48.

Secondo Santilli le recinzioni elettriche permettono di conseguire risultati “davvero eccezionali” nella prevenzione dei danni, raggiungendo perfino il loro azzeramento; a tale scopo è opportuno che le recinzioni stesse siano disposte in maniera lineare lungo il confine tra bosco e coltivi e non circondando singolarmente ogni singola parcella coltivata; inoltre l’apposizione delle recinzioni dovrebbe essere accompagnata da un foraggiamento dissuasivo, altrimenti la recinzione non può resistere a lungo all’urto continuo e prolungato dei cinghiali in cerca di cibo, perché la corrente elettrica può dissuadere ma non sfamare34! In Slovenia le recinzioni elettriche per proteggere il mais dai cinghiali hanno avuto un’efficienza del 100%51. Nel Texas le recinzioni elettriche riducevano i danni arrecati dai cinghiali al sorgo del 64%31. Secondo Schley ed altri le recinzioni dovrebbero essere erette solo dopo la semina e quando i cereali sono allo stadio lattiginoso37.

Vassant & Breton in Francia nord-orientale hanno ottenuto una forte diminuzione dei danni al frumento allo stato lattiginoso distribuendo mais in foresta50. A Puechabon in Francia meridionale la distribuzione di mais a scopo dissuasivo ha permesso di ridurre i danni arrecati dai cinghiali alle vigne, permettendo di risparmiare più del 60% degli indennizzi corrisposti agli agricoltori5. Tuttavia secondo Schley ed altri il foraggiamento supplementare dei cinghiali può essere responsabile dell’aumento della popolazione del cinghiale e quindi indirettamente dell’aumento dei danni; esso può agire in modo dissuasivo e ridurre i danni solo a quattro condizioni: 1) densità dei cinghiali inferiore a 15 individui per 1000 ettari; 2) cibo fornito solo nel periodo critico; 3) cibo sparso su una vasta area; 4) cibo fornito in foresta ad almeno 1 km dal margine della foresta37.

Inoltre l’orzo e gli altri cereali tricomatosi, che vengono evitati dai cinghiali, dovrebbero essere piantati vicino alle foreste, mentre il mais ed i cereali non tricomatosi dovrebbero essere piantati lontano dalle foreste37.

Anche secondo Vassant occorre impiantare le colture vulnerabili (grano e mais) a più di un chilometro dai boschi, mentre i cereali “barbuti” possono essere piantati al margine delle foreste perché assai poco consumati dai cinghiali. Il foraggiamento dissuasivo è efficace se il mais viene sparso in strisce larghe 10-20 metri, ed in quantità di 40-50 kg per chilometro, e permette di ridurre i danni ai cereali allo stato lattiginoso del 70%. Le colture dissuasive di mais in foresta sono invece troppo costose e difficili e di basso rendimento47.

Invece secondo Geisser & Reyer recinzioni elettriche e foraggiamento in foresta sarebbero inefficaci13.

Il trattamento del mais con repellenti è molto efficace nel ridurre drasticamente il consumo sec. Santilli ed altri35, mentre non ha un effetto significativo nella riduzione dei danni secondo Schlageter ed altri36.

Un altro metodo alternativo è quello della telecontraccezione, iniettando a distanza negli animali il vaccino GonaCon con un apposito fucile. Questo metodo è stato recentemente perfezionato ed ora è possibile con una sola fiala avere un effetto durevole per vari anni22.

 

CONCLUSIONI

La caccia non sembra un rimedio efficace per contrastare i danni dei cinghiali all’agricoltura, anzi, attraverso la perdita della sincronizzazione dell’estro e l’aumento della fecondità, potrebbe essere considerata come una causa dei danni stessi. Metodi alternativi, quali recinzioni elettriche e foraggiamento dissuasivo, sembrano al contrario molto efficaci.

 

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48) Vassant J. & B. Boisaubert 1984. Bilan des expérimentations entreprises en Haute-Marne pour réduire les dégâts de sangliers (Sus scrofa) à l’encontre des cultures agricoles. In: F. Spitz & D. Pépin (eds.), Symposium international sur le sanglier, Colloques de l’INRA 22, Toulouse, France, 24-26 avril 1984: 187-199.

49) Vassant J., S. Brandt, É. Nivois & É. Baubet 2010. Le fonctionnement des compagnies des sangliers. Faune sauvage 288: 8-13.

50) Vassant J. & D. Breton 1986. Essai de réduction des dégâts de sangliers (Sus scrofa scrofa) sur le blé (Triticum sativum) au stade laiteux par distribution de maïs (Zea mais) en forêt. Gibier Faune Sauvage 3: 83-95.

51) Vidrih M. & S. Trdan 2008. Evaluation of different designs of temporary electric fence systems for the protection of maize against wild boar (Sus scrofa L., Mammalia, Suidae). Acta agriculturae slovenica 91 (2): 343-349.

 

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 “Vivisezione. Nessuno scopo è così alto da giustificare metodi così indegni”. (Albert Einstein)

Sperimentazione sugli animali? Più attendibile la monetina testa o croce
«Il lancio di una monetina è più attendibile dei risultati forniti della sperimentazione su animali». A sostenerlo è André Menache, medico veterinario e direttore di Antidote Europe, intervenuto a Roma alla conferenza “L’errore nella ricerca biomedica”, un appuntamento organizzato per parlare proprio della sperimentazione animale. «Numerosi studi hanno comparato la tossicità di un farmaco negli animali con le reazioni avverse al farmaco osservate in pazienti umani. La correlazione tra i due ordini di dati in media è del 30%, il che rende i test sugli animali persino meno affidabili del lancio di una monetina». «Il dato – prosegue Menache – è dimostrato anche dalle numerose morti che avvengono nei Paesi occidentali per reazioni avverse ai farmaci. Questi decessi occupano il quarto posto tra le cause di morte dopo infarto, tumore e ictus. Abbandonando i test sugli animali – propone – potremmo finalmente destinare risorse più adeguate allo sviluppo e al perfezionamento dei metodi di ricerca basati sull’uomo, attualmente predittivi solo al 75%, rendendoli ancora più accurati e affidabili». «Ogni specie reagisce in modo diverso – ha commentato Fabrizia Pratesi De Ferrariis, coordinatrice del Comitato scientifico Equivita – basti pensare che perfino ratti e topi, specie strettamente imparentate, offrono risposte differenti tra di loro nel 60% dei casi. È un errore metodologico – conclude – considerare gli animali modelli attendibili per l’uomo». (fonte: RadioMontecarlo)

 

 

Inferno animale *

* fonte:http://www.byoblu.com/post/2011/01/09/INFERNO-ANIMALE.aspx
Ogni anno, 48 miliardi di animali nascono, vivono e muoiono in un inferno che neppure il peggiore dei gironi danteschi avrebbe saputo immaginare. Molti campi di concentramento, al confronto, erano amene località di villeggiatura. Gli allevamenti industriali sono peggiori della peggiore fantasia di un fervido scrittore di horror, sono luoghi nei quali miliardi di creature viventi, in grado di provare emozioni e di percepire il dolore, conducono una vita di atroci sofferenze, dalla nascita alla morte. Molti di loro non vedono mai la luce del sole, vivono in strette gabbie nelle quali non possono neppure voltarsi, le loro dimensioni sono artificialmente gonfiate al punto che la loro struttura ossea cede a fronte di un peso non previsto, e molto presto smettono di reggersi sulle zampe. Le femmine del maiale, anche se gravide, passano tutta la gestazione in piedi senza potersi muovere. Quelli che vivono ammassati, e sono 9 milioni ogni anno, viceversa sono così pressati l’uno all’altro che diventano aggressivi e si mangiano la coda. Per diminuire le infezioni, la coda viene loro tagliata senza mezze misure. Le galline sono costrette in spazi talmente angusti che non possono neppure aprire le ali. Molte di loro muoiono perché, senza spazio per muoversi, non riescono a raggiungere il cibo né l’acqua. Le altre, esasperate, si mordono continuamente, così i loro becchi vengono amputati con una forbice. I polli che sopravvivono vengono appesi a ganci di metallo e una macchina li decapita, li spenna, li smembra e li inscatola. Sono immagini che non ho voluto inserire nel video, ma vi garantisco che non riuscireste più neppure a guardare una confezione di cosce di pollo al supermercato. Gli allevamenti industriali prosciugano le risorse. Ci vogliono 20Kg di grano per produrre 1 Kg di carne. Sono necessari 2 mila 400 litri di acqua per fare 1 hamburger. Gli allevamenti industriali danneggiano la salute. Un pollo che esce da quell’inferno riesce nell’improbabile impresa di avere più grassi che proteine. Ne ha almeno il 25% in più rispetto al suo omologo ruspante. I danni causati dall’impatto dell’obesità sulla qualità della vita e sui conti della sanità pubblica sono incalcolabili. Da quelle nauseabonde bolge di carne, urina, feci e sangue escono batteri resistenti agli antibiotici, come una particolare specie di stafilococco che si diffonde per contagio diretto e causa disgustose pustole rosse sulla pelle: l’infezione si chiama MIRSA (MRSA, Methicillin-resistant staphylococcus aureus). Ma escono anche malattie nuove che oltrepassano la barriera tra le specie e arrivano all’uomo, come il Morbo della Mucca Pazza (BSE – Bovine spongiform encephalopathy) o la recente contagiosissima e mortale influenza aviaria. Un animale cresciuto in una fattoria, all’aperto, libero di scorrazzare alla luce del sole o sotto la pioggia è un animale innanzitutto più felice, ma è anche un animale più sano, che produce cibo di elevata qualità a fronte di un sovrapprezzo irrisorio. Gli allevamenti industriali producono ogni anno cibo per 10 miliardi di persone, che consumiamo solo noi, in meno di 2 miliardi. Gli esperti mondiali concordano sul fatto che è possibile produrre cibo in abbondanza, di qualità e per tutti senza allevamenti industriali, nel pieno rispetto della vita, della dignità e del benessere degli animali. Ci sono già 68 milioni di animali che vivono una vita dignitosa, certificata dall’RSPCA, forse anche felice. Porre un fine a questo inferno dipende solo da noi. Scegliamo cibo prodotto nelle fattorie, privilegiamo gli imprenditori che compiono scelte nella direzione della qualità della vita e del benessere degli animali. Facciamolo da domani, perché non abbiamo alcun diritto di trattare una creatura vivente come se fosse un oggetto.
Intervista a Philip Lymbery – Compassion in World Farming
“Compassion in World Farming” è stata fondata da un contadino che produceva latticini di nome Peter Roberts, nel 1967, che iniziò a preoccuparsi molto per la nascita dei primi allevamenti industriali che tenevano gli animali ingabbiati, bloccati, costretti, in condizioni che si possono solo definire come privazione totale. Questo lo preoccupò, e da allora preoccupò molte persone. La missione di Compassion oggi, come era allora, è di vedere la fine degli allevamenti industriali e di vedere finalmente gli animali trattati con decenza e rispetto. Una delle grosse sfide per Compassion, all’inizio, era che le attività degli allevamenti avevano luogo, e ancora è così, al riparo da occhi indiscreti. Così, riuscire a mostrare alla gente cosa stava succedente, il modo in cui gli animali venivano trattati, il modo in cui erano tenuti in vita e cosa comportava per il cibo e per l’ambiente era una grossa sfida. Ma è qualcosa che abbiamo superato bene. Un’altra sfida era fare in modo che la gente, a quei tempi – negli anni sessanta – e le organizzazioni prendessero la vita negli allevamenti industriali come un serio problema che riguarda il benessere degli animali. Negli anni 60 il benessere degli animali si focalizzava più che altro sui cani, sui gatti e sui cavalli. Per fortuna adesso il benessere degli animali delle fattorie
è visto come un serio motivo di preoccupazione da molte organizzazioni di tutte le dimensioni in tutto il mondo. Un allevamento industriale, essenzialmente, produce animali su scala industriale. E’ un allevamento di massa. E’ un posto dove si tengono gli animali strettamente confinati, spesso in gabbie dove intere batterie di galline, per esempio, non possono neppure stendere le ali, o dove i maiali non riescono a voltarsi. Oppure si tengono un numero elevatissimo di animali in tetri capannoni senza finestre. Significa anche far crescere gli animali, o farli produrre latte – per esempio nell’industria del latte –, farli crescere o produrre oltre i loro limiti naturali: mediante la manipolazione delle razze, oppure con tecniche di alimentazione che li portano oltre i loro limiti fisiologici. E come risultato, troppo spesso gli animali cedono. “Compassion in World Farming” è molto orgogliosa dei suoi risultati. Certo, mai soddisfatta, ma molto orgogliosa. Alcuni dei risultati sulla cui attuazione abbiamo influito includono il divieto dell’Europa su alcune delle peggiori pratiche degli allevamenti industriali, come tenere i vitelli in minuscole vasche dove non potevano neppure girarsi, o tenere le femmine gravide del maiale ancora una volta in strette gabbie dove per mesi, lungo tutta la gravidanza, non potevano muoversi, …ma il divieto della Comunità Europea sulle gabbie austere di contenimento dei polli è forse il più emblematico, il più conosciuto e il più disprezzato
di tutti i sistemi usati dagli allevamenti industriali. Direi che questi sono i risultati più grossi di Compassion. Ma anche l’istituzionalizzazione delle preoccupazioni sul benessere degli animali, e l’accettazione del fatto che provano dolore e soffrono. Abbiamo convinto l’Unione Europea, per esempio, a riconoscere legalmente agli animali lo status di creature senzienti, a riconoscere che gli animali hanno diritto al benessere, che provano dolore e soffrono, e che tutte queste cose devono essere tenute in considerazione quando si formulano le leggi.  Tenere gli animali in condizioni dignitose, in condizioni di benessere maggiore, migliora anche la qualità del cibo. La gente, ad esempio, riconosce ora le uova marchiate “free eggs” non solo come uova provenienti da galline che hanno potuto avere accesso all’esterno e quindi non sono state tenute in gabbia, ma percepiscono anche un indicatore di qualità da quel marchio. Io credo che tenere gli animali in condizioni di benessere maggiore possa migliorare la qualità del cibo. Uno degli esempi migliori che il cibo degli allevamenti industriali può spesso essere più economico e meno triste è il caso del pollo da grigliare, il modo pesantemente industrializzato con il quale produciamo carne di pollo. Quando è stato lanciato sul mercato, negli anni 70, come un prodotto salutare, è stato lanciato sulla base del fatto che aveva pochi grassi. Bene, a dire il vero se prelevi lo stesso pollo prodotto industrialmente dagli scaffali oggi come oggi ha circa tre volte il contenuto in grassi che aveva quando fu lanciato all’inizio. Il suo contenuto proteico, invece, è considerevolmente inferiore. In pratica, il pollo medio prodotto in un allevamento industriale, che è dappertutto sugli scaffali dei nostri supermercati, oggigiorno è molto più ricco di grassi che non di proteine. Se invece compri un prodotto organico, cresciuto in condizioni di benessere maggiore, puoi constatare che ha il 25% in meno di grassi rispetto al suo equivalente cresciuto in un allevamento industriale. Insomma, molto spesso il benessere degli animali fa rima da vicino con una maggiore qualità del cibo. Credo che la questione degli allevamenti industriali sia un problema del quale tutti noi dovremmo preoccuparci. Un allevamento industriale produce cibo che a una prima occhiata sembra economico, ma quando inizi a considerare gli svantaggi per la salute pubblica, l’impatto sulla salute associato agli allevamenti industriali, l’impatto ambientale del vasto sfruttamento del grano associato con lo spreco delle risorse vitali di cibo che arriva dagli allevamenti industriali… per non menzionare l’immensa, inimmaginabile entità della crudeltà, allora ti rendi conto che il costo di quel pezzo di carne, apparentemente economico, è in realtà altissimo.
Un altro punto è che alla fine hai quello per cui stai pagando. Se compri carne a poco prezzo, prodotta in un allevamento industriale, allora quello cui stai rinunciando è la qualità del tuo cibo. Io credo che la gente sarebbe sorpresa se andasse in un supermercato e comparasse un prodotto industriale con il suo equivalente a benessere aggiunto: si accorgerebbe che in realtà i due non differiscono così tanto in termini di prezzo. La scelta di un prodotto da allevamento industriale non è quella giusta se si vuole un migliore, più salutare stile di vita per le persone di questo pianeta. Credo che ormai sia chiaro che un allevamento industriale mette troppi animali in un posto troppo stretto e si comporta come un terreno di coltura, una pentola a pressione per le malattie che avrà un impatto sulla salute pubblica. Risparmiare sul modo in cui trattiamo il bestiame  ha già prodotto minacce gravi come il Morbo della Mucca Pazza – BSE – o l’altamente infettiva influenza aviaria, per esempio, che hanno scavalcato la barriera delle specie e hanno minacciato la vita delle persone. Questi sono stati tutti effetti dell’intensificazione, e possiamo quindi vedere come gli allevamenti industriali minacciano la vita della gente. Abbiamo già parlato, per esempio, del pollo di allevamento industriale ad altissimo contenuto di grassi, che abbassa la qualità del cibo nei nostri piatti. La nostra visione prevede un sistema di produzione del cibo umano e sostenibile, che tenga in considerazione il benessere degli animali, e assicuri che ognuno possa essere nutrito bene, e con gentilezza, non solo in questo paese ma in tutto il mondo. Gli allevamenti industriali non possono ottenere questi obiettivi, e non lo fanno. Gli allevamenti industriali usano un grande ammontare di risorse, a un grande costo, sprecano moltissimo cibo, e in realtà aumentano il costo del cibo in tutto il mondo a tutto svantaggio delle persone più povere nei paesi in via di sviluppo. Insomma, non sono davvero la soluzione. Quello che dobbiamo fare è lasciarci alle spalle gli allevamenti industriali che hanno hanno alimentato l’esplosione delle borse, che hanno contribuito enormemente all’effetto serra, e dobbiamo andare verso un posto più umano e sostenibile. Abbiamo approfondito la questione, abbiamo fatto ricerca e sì, i migliori esperti affermano che possiamo nutrire il mondo in modo equo e appropriatamente senza allevamenti industriali. La nostra visione contempla un mondo dove gli animali da fattoria sono trattati con compassione e rispetto, e vogliamo vedere la fine degli allevamenti industriali di tutto il mondo. Vogliamo vederlo durante la nostra vita, vogliamo vederlo entro il 2050 al massimo, un mondo senza allevamenti industriali in favore di tecniche di allevamento e di produzione di cibo più umane e sostenibili.