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lunedì, Settembre 9, 2024
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Fiabe della montagna, il nuovo libro di Arnelio Bortoluzzi

Nonno Pacio è un quasi settantenne architetto bellunese che ha due bellissimi nipotini, Riccardo e Mattia. Il noto professionista, che fu anche presidente provinciale del proprio Ordine, è innamorato della montagna, degli animali che la vivono e degli abitanti che la curano. Che rispondono ai nomi di Pelmo e Tofana (i nonni), Avena (la mucca), Civetta (la capretta), Antelao (l’asino), Ciccio Porcillo (l’immancabile maiale presente sempre in ogni casa dell’era preindustriale) e le galline Marmarole. Sono i gustosi protagonisti dell’appassionante libro di Arnelio Bortoluzzi “Fiabe della montagna”, editi da il Veses, con traduzione inglese.

Un quadretto di un’Arcadia che non c’è più. Ed è proprio quello che l’architetto bellunese di S. Giustina ha voluto raccontare, a mo’ di favola, a Riccardo e Mattia, che quel mondo non hanno conosciuto. Una narrazione fluida, accattivante, intrigante dove anziani e animali recitano un poema corale che chi ha vissuto le propaggini della civiltà contadina ha ben conosciuto. Un’esistenza difficile e anche dura, ma quasi sempre serena nello spirito anche se non ricca di beni materiali. Sono racconti che sanno descrivere frammenti di un tempo che non c’è più e che, soprattutto, non potrà tornare. Alla fine di questo centinaio di pagine, dove il maialino (che non finisce insaccato in salami) è quello che ne combina di tutti icolori e subisce le rampogne di nonno e nonna.

Gli animali che abitano in questa pagine hanno un’anima. Proprio come quelli che occupavano la esistenza di qualche decennio fa nelle nostre montagne e pianure. Non solo dei numeri. Poi è venuta la civiltà industriale che ha cancellato un’epoca. Fu bene, fu male? Il libro non lo dice. O, almeno, non chiaramente. Ma lasciarsi abbracciare da queste favole ricche di umanità riempie lo spirito di una dolcezza ammaliante di un tempo che il nonno Bortoluzzi ha vissuto. E, da quel che esprimono i racconti, sembra anche rimpiangere.
Dietro gli animali parlanti, dietro le figure dei due anziani c’è – come scrive nonno Pacio – lo spopolamento della montagna e il fallimento delle politiche in favore del suo sostegno.

Come scrive bene il nonno, allora, «non ci resta che entrare in una fiaba tenendo per mano i bambini e animare le montagne raccontando la storia delle persone che per centinaia di anni hanno amato e curato l’ambiente, regimato i torrenti» e tutto quello che è servito per vivere e far vivere un ambiente sia esso montagnoso o di pianura. “Fiabe di montagna” si assapora e si centellina sorso dopo sorso, cioè racconto dopo racconto, con la curiosità dei bambini che scoprono una vita che non esiste più densa di valori spirituali di cui si è persa ogni traccia. E che, purtroppo, loro non conosceranno né vivranno. Ma, se non altro, hanno avuto la fortuna di avere nonno Pacio che gli ha narrato come era il mondo di una volta. Migliore di quello che essi vivranno? A loro, ai tanti Riccardo e Mattia cui è dedicato l’agile volumetto, una sentenza che, stavolta, sarà davvero ardua. E che nonno Pacio non conoscerà mai.

Sante Rossetto

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