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Centenario della nascita di Gianfranco Orsini, a Mel un convegno sull’uomo e sul politico. La sua ultima intervista dell’aprile 2007

Roberto Padrin, presidente della Provincia

Padrin: «Visione strategica e capacità d’analisi rara. Orsini servirebbe anche oggi al nostro territorio»

Cento anni fa, nel 1924, nasceva Gianfranco Orsini, figura di spicco della politica bellunese. E per celebrarne la figura, il Circolo Cultura e Stampa Bellunese, d’intesa con la Provincia di Belluno, organizza un convegno di studio, in programma sabato mattina al Palazzo delle Contesse di Mel, a partire dalle 9.30. Interverranno Luigino Boito, presidente del Circolo Cultura e Stampa Bellunese; Emilio Neri che affronterà la vita e la personalità di Orsini; Renzo Fant con un intervento su “Orsini e la Dc”; Oscar De Bona che parlerà del ruolo della Provincia; il sociologo Diego Cason delineerà il contesto sociale in cui operò Orsini; Renzo Lusetti spiegherà invece il lavoro in Parlamento; e Pierluigi De Cesero tratterà il tema “Il ruolo del Conib e l’industrializzazione della provincia”. A chiudere, Paolo Feltrin sul tema “La rinascita sociale del Bellunese”.
Tutti gli interventi tratteggeranno diversi aspetti della figura di Orsini, esponente della Democrazia Cristiana, presidente della Provincia di Belluno dal 1965 al 1967 e poi ancora dal 1970 al 1972, eletto alla Camera dei Deputati per cinque legislature consecutive, restando in carica dal 1972 al 1992.
«Il nome di Orsini è legato alla ricostruzione post Vajont e all’industrializzazione della provincia di Belluno. Ma l’attività politica delineatasi in cinque legislature è andata ben oltre, mostrando un’incredibile lungimiranza e uno strettissimo legame con il territorio bellunese» commenta il presidente della Provincia Roberto Padrin, che sabato parteciperà al convegno di studio con un intervento specifico. «Nel 1978 Orsini fu il firmatario di una proposta di legge costituzionale per “Attribuzione alla Provincia di Belluno di competenze autonome nell’ambito della regione Veneto”. Una proposta che prevedeva l’attribuzione di speciali entrate, modellate su quelle delle regioni a statuto speciale e in particolare di lasciare a Belluno i nove decimi del gettito di diverse imposte. La capacità di analisi di Orsini, come emerge dalla descrizione del Bellunese nella presentazione della proposta di legge, era di raro acume. E la visione strategica per il territorio lo rendeva un gigante. Dobbiamo prendere spunto da queste capacità e non disperdere l’eredità che ci consegna una figura di tale calibro. Bene ha fatto quindi il Circolo Cultura e Stampa, con il presidente Boito, a proporre una giornata di studi che non significa guardare al passato, ma piuttosto disegnare il futuro del nostro territorio».

 

L’onorevole Gianfranco Orsini nella sua abitazione a Mel, aprile 2007

Mel, aprile 2007 La richiesta di autonomia mai decollata. La testimonianza dell’onorevole Gianfranco Orsini

«L’agricoltura è condizionata dall’orografia e può contare solo su una minima parte della superficie agraria e forestale per i seminativi e le colture arboree. La rete interna stradale è soggetta a dissesti causati da una situazione idrogeologica estremamente difficile. Il processo demografico volge a un saldo negativo, facendo cioè prevalere i morti sui nati, con un’inarrestabile diminuzione della popolazione. Tale stato di cose potrebbe indurre in tentazione di lasciare che queste zone diventino una specie di riserva indiana. Ma sarebbe una soluzione profondamente ingiusta per due ragioni. In primo luogo perché è risaputo che l’abbandono del territorio montano conduce a processi di dissesti idrogeologico. E perché in questa provincia lo sfruttamento delle acque a scopo idroelettrico serve ben 35 impianti di produzione per un totale di oltre tre miliardi di Kilowatt ora di energia. Bisogna quindi trovare gli strumenti adatti a far risorgere il bellunese, a ristoro delle servitù inflitte. E ciò si realizza con l’attribuzione di competenze proprie della regione alla Provincia, oltre alle competenze amministrative della Provincia stessa».

Sembra il manifesto dell’autonomia scritto oggi da quei Comuni che vogliono passare alla Regione Trentino Alto Adige o al Friuli Venezia Giulia. E invece è uno stralcio della premessa della Proposta di Legge costituzionale n.116 presentata il 20 giugno del 1979 alla Camera dei deputati, su iniziativa dall’onorevole Gianfranco Orsini. Per chi ha meno di 30 anni, ricordiamo che Orsini è stato fino al 1990, per un ventennio ininterrotto, deputato della Democrazia Cristiana; dal 1965 al 1972 presidente della Provincia; dal 1968 al 1972 e poi dal 1973 al 1992 presidente dell’Ospedale di Belluno; e dal 1963 allo scorso anno presidente del Conib – Consorzio per il Nucleo di Industrializzazione provinciale – ovvero la struttura creata immediatamente dopo il disastro del Vajont, per favorire gli insediamenti industriali nella zona di Longarone.

Onorevole Orsini, a cosa mirava il suo Disegno di legge del ‘79?

«In sostanza chiedevo che, oltre alle entrate previste dallo Stato e dalla Regione, i 9/10 del gettito tributario riscosso nel bellunese rimanessero in provincia. Inoltre i beni patrimoniali dello Stato e della Regione esistenti nel territorio provinciale (acque pubbliche ecc.) sarebbero stati trasferiti alla Provincia. Sapevo benissimo che un simile provvedimento non sarebbe passato, ma in quel momento andava posto il problema. Anche se poi non se ne fece nulla».

Come mai ha dato le dimissioni da presidente dal Conib lo scorso anno?

«Per il semplice motivo che ritenevo esaurito il compito del Consorzio. Il piano di aiuti alle imprese che ne fecero richiesta era stato completato e dunque non c’era motivo di mantenere in vita questo organismo nato per favorire le industrie nelle aree colpite dal disastro del Vajont. Ma a qualcuno non è piaciuta l’idea di dovere restituire un miliardo di vecchie lire a Roma e chiudere la struttura e allora ho preferito dare le dimissioni».

Cos’è cambiato rispetto a trent’anni fa nel modo di fare politica?

«Non mi pare che un tempo vi fossero dei contrasti così violenti come oggi nelle alleanze. Evidentemente è cambiata l’etica».

Perché i giovani, nella maggior parte dei casi, oggi sembrano disinteressarsi della politica? Trent’anni fa in Consiglio comunale di Belluno c’erano vari giovani al di sotto dei 25 anni.

«Probabilmente perché, essendo aumentato il benessere, la loro vita trascorre discretamente bene e non sentono la necessità di interessarsi né di impegnarsi per il bene pubblico».

Secondo lei, oggi è cambiato il criterio di reclutamento nei partiti?

«Sì. Penso di sì. Un tempo, all’interno dei partiti politici, c’era una vera e propria selezione. Che oggi non vedo».

E come sarà la risposta dell’elettorato alla chiamata dei partiti? Considerato che Forza Italia con l’intervento di Galan è andata ad azzoppare Prade (definito un candidato perdente). E Perale, che prima esce dalla Margherita per correre da solo e poi rientra…

«Un tempo, quando la DC chiamava al voto, la gente rispondeva compatta. Oggi le lotte interne, anche quelle dell’ultima ora, a mio parere disorientano gli elettori».

Ci si può appellare ancora ai voti cattolici?

«No. Non credo che questo sia più possibile. I voti cattolici oggi sono liberi, dunque del centrodestra e del centrosinistra. Perché nessuno dei due schieramenti possiede quella compattezza che un tempo era monopolio della DC».

E questo secondo lei è un bene o un male?

«Dal mio punto di vista era meglio una volta, con i cattolici schierati a fianco della DC».

Sono davvero finite le ideologie? Oppure le ferite si riaprono ogni qualvolta si toccano certi argomenti? Ad esempio le foibe, oppure la Resistenza. L’ultima volta è successo il 25 aprile al vicesindaco Gidoni, che ha parlato di Liberazione dell’Italia degli Alleati, mettendo in secondo piano i caduti partigiani.

«E’ giusto che sia tenuto vivo il ricordo. Perché non è possibile dimenticare. Ed è giusto che vengano ricordati i tanti atti di eroismo per la Patria, senza che per questo si scatenino inutili controversie».

Meglio l’oblio come fece la Spagna di Franco con il suo passato scomodo? O si possono riaprire gli armadi della vergogna?
«Se fatto in modo adeguato e rispettoso, oggi si può parlare anche di episodi scomodi. Ma credo che abbiano la precedenza gli eroi. Coloro che hanno dato la vita per un ideale. E’ di loro che dobbiamo parlare ai giovani».

Cosa intende per eroi? Qui a Mel avete scoperto una lapide in onore di Angelo Sbardellotto, fucilato dal regime fascista per aver progettato l’attentato a Mussolini. Era davvero un eroe? Voltiamo pagina. Ai giorni nostri i soldati italiani caduti a Nassirya, sorpresi da un’autobomba piazzata davanti alla loro palazzina, sono stati dichiarati eroi dallo Stato italiano. Lo stesso è stato fatto con Quattrocchi, il mercenario che ha sfidato i suoi carnefici dicendo “vi faccio vedere come muore un italiano”. Ovvio che spiace per la loro morte. Ma sono davvero eroi?

«Come ho detto, credo che gli eroi siano quegli uomini che hanno dato la loro vita per salvarne delle altre. Sinceramente, gli esempi che lei ha portato, mi lasciano non poche perplessità».

  • dal libro “Belluno ieri e oggi, cronache del passato” di Roberto De Nart
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