Il territorio bellunese, da sempre, è ricco di bellezze naturali, acque e legname.
Le prime, solo in tempi recenti, ci hanno permesso di avviare attività turistiche, salutistiche e culturali.
Le acque, da centinaia di anni, sono state utilizzate per produrre energia meccanica tramite i mulini e, da fine ottocento, mediante gli invasi artificiali, le dighe e le turbine, energia elettrica che si à diffusa in ogni nostra attività produttiva.
Il legname da migliaia di anni viene utilizzato sia come combustibile da riscaldamento che come materiale da costruzione.
Tutte e tre queste ricchezze sono presenti in quantità superiori alle nostre esigenze, per cui è chiaro che possono essere considerate beni primari per una gestione autonoma dell’economia.
Il turismo purtroppo non s’è ancora sviluppato in modo considerevole; basti fare un confronto con il vicino territorio Trentino Tirolese. E non solamente per la differenza di dotazione economica derivata dallo Statuto dell’Autonomia. Speriamo nel futuro.
L’acqua è incanalata in migliaia di chilometri di condutture nei nostri monti e produce tanti gigawatt-ora (GWh) che, divisi per la nostra popolazione, danno circa 20.000 Kilowatt-ora (KWh) a testa. Trento e Bolzano non arrivano a 15.000. Nonostante ciò, di tale ricchezza ben poco resta in loco, a differenza di Trento e Bolzano, che da anni hanno acquisito la proprietà di gran parte delle centrali idroelettriche, potendo distribuire annualmente migliaia di KWh gratis alle popolazioni e contenendone il costo in questo periodo di esplosione dei beni energetici. Il business dell’energia ci ha al contrario coinvolto con i quasi 2.000 morti del Vajont.
Per quanto concerne il legname, basti pensare che, dalla notte al giorno, le nostre foreste si accrescono di decine di metri cubi.
Una ricchezza enorme, a costo zero, che potrebbe rendere milioni di € all’anno, se solo sapessimo/potessimo sfruttarne anche il valore a compensazione della co2 prodotta dalle attività umane.
E invece da oltre 70 anni a questa parte stiamo dilapidando questo bene, per cause anche dovute alla nostra stoltezza.
A cavallo degli anni 60/70 dello scorso secolo, la chiusura di gran parte delle nostre segherie portò alla svalutazione del legname, perché stava scomparendo la filiera di produzione, a favore di segherie esterne, anche estere.
Parimenti incise l’impiego di nuove strutture in metallo nell’edilizia (impalcature e cemento armato in primis).
Tra l’80 e il 90, con l’utilizzo di diverse tipologie di combustibile, il legno da riscaldamento perse il 56% di valore.
In seguito, con l’impatto sulle foreste europee di alcune tempeste, si produsse una plusvalenza di legname a terra che avvilì ulteriormente anche il prezzo dei nostri boschi. Ad esempio “Viviane” nel 1990, “Lothar” nel 1999, che atterrarono oltre 300 milioni di m3 di legno nel continente. Il legno, di abete in particolare, restò comunque sopra i 100€/m3. (Forest@, Rivista on line di selvicoltura ed ecologia forestale, vol. 15, pp.94-98)
Ma è importante sapere che “mentre nel 1955 con la vendita di un m3 di legname si poteva retribuire circa un mese di salario, attualmente [2005] lo stesso quantitativo non basta per retribuire lo stipendio di una giornata di lavoro nel bosco”. (da “Le Alpi che cambiano” a cura di Marco Pascolini, Editrice Universitaria Udinese, Udine, 2008, pag. 59).
Arriviamo a “Vaia”, ottobre 2018. Il cui risultato fu 8-9 milioni di m3 di schianti e distruzione ulteriore dovuta all’attacco di bostrico sul legname disteso ed ora pure in piedi rigoglioso.
Il confronto con gli anni ’90 è impietoso. Da 175€/m3 in Val Visdende si precipita a 20€. E pensare che pochi giorni prima il valore era ancora 143€.
Gran parte delle aste odierne si mantiene su valori depressi. E non è dovuto a scarsità di richiesta. Al contrario, le segherie austriache, ma anche slovene, stanno facendo man bassa di prodotto.
Abito a Chiesurazza, a nord di Belluno, sulla strada verso Agordo. Quotidianamente passano a fianco di casa mia numerosi di Tir carichi di legname, tutti rigorosamente targati Slovenia. Una motrice trasporta 35 m3. Col rimorchio raggiunge gli 80m3!
Ora che i cinesi sono entrati nel business e i trasporti si fanno in container il prezzo s’è ravvivato, ma non troppo. Al Nevegal l’ultima offerta è stata di 26€. In Val Visdende 41€ per tronchi “comodi” a lato strada.
In definitiva cos’è successo? Presto detto. I privati, i consorzi boschivi, le Regole invece che accordarsi per un prezzo equo, sono andati in ordine sparso, cedendo alle pressioni di acquirenti “col pelo sullo stomaco”. E’ la solita legge del “divide et impera” e i risultati si fanno vedere. E noi Bellunesi, gran lavoratori a testa bassa, vendiamo la primogenitura per un piatto di lenticchie.
Tomaso Pettazzi