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domenica, Ottobre 1, 2023
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La diga del Vanoi è la risposta sbagliata a un problema reale * di Arturo Lorenzoni

Arturo Lorenzoni, consigliere regionale

In questi giorni è tornata attuale la discussione sulla possibile realizzazione dell’invaso del Vanoi. Una diga alta oltre 100 metri in val Cordella, nel comune di Lamon, dove il torrente Vanoi scende per immettersi nel Cismon, per creare un bacino da 33 milioni di metri cubi d’acqua, quasi interamente in Trentino, nei Comuni di Canal San Bovo e Cinte Tesino; un progetto che vorrebbe risolvere il drammatico problema delle riserve idriche per gran parte della pianura veneta. Sarebbe il maggior invaso artificiale di tutto il Trentino, non un laghetto per la pesca sportiva. Per giunta in una stretta valle, caratterizzata da un elevato rischio geologico.

Un progetto già abbozzato negli anni Sessanta, di costo oggi stimato oltre 150 milioni di euro, tornato alla ribalta con il protagonismo del ministro Salvini, che sembra essersi appassionato alle grandi opere, indipendentemente dalla loro utilità, come mostra anche il ponte sullo stretto di Messina. Non bastasse, per mettere pressione politica, la Lega ha anche promosso in molti Comuni veneti delle mozioni a favore del progetto, che comprensibilmente sono state approvate, non essendo stata data ai consiglieri un’informazione completa sulle alternative esistenti. E pure in Consiglio regionale il 2 agosto 2022, nel pieno della crisi idrica, abbiamo approvato la mozione numero 333 “Siccità: serve un nuovo bacino idrico sul torrente Vanoi”, chiedendo alla Giunta di sollecitare il Governo e la Provincia di Trento a redigere il progetto di un nuovo bacino idrico sul torrente Vanoi, già inserito nel Piano Regionale Ripresa e Resilienza. Ma non ci avevano informato delle alternative.

Lo scorso 22 dicembre la Giunta veneta ha approvato l’affidamento del progetto esecutivo al Consorzio di bonifica del Brenta, senza però alcun coinvolgimento della provincia di Trento, dove si vorrebbe realizzare l’opera. Una procedura quantomeno irrituale, se non vogliamo dire che la Lega del Veneto si è mossa con arroganza istituzionale. Giuste le rimostranze mostrate dalla Giunta trentina. Incurante delle critiche degli amministratori locali, l’8 maggio la Giunta veneta ha inserito la diga al primo posto tra le opere necessarie a contrastare la siccità da finanziare grazie all’intervento del commissario straordinario per la siccità Nicola Dell’Acqua, che fino a dicembre si occuperà di far procedere i progetti più urgenti indicati dalla cabina di regia nazionale, già presidente di Veneto Agricoltura, oltre che commissario per la siccità in Veneto.

Se il problema della gestione della siccità, per usi irrigui, industriali e civili, è reale, è la risposta della diga che è drammaticamente sbagliata, basata su strumenti vecchi, costosi e inadeguati.

Se è vero che la pianura veneta ha un estremo bisogno di acqua nei periodi sempre più lunghi di siccità per il mutato regime idrologico a causa dei cambiamenti climatici in atto, è vero anche che gli studiosi di idrologia ci hanno mostrato come la risposta più efficace, economica e rapida sia quella di facilitare la ricarica delle falde sotterranee, non di creare nuovi bacini che invadono le proprietà, consumano il territorio sommergendo le sue bellezze, ne minano la sicurezza e costano cifre assurdamente alte.

Ritengo grave che il Consorzio Brenta recuperi progetti dimenticati, senza ascoltare le risposte date da chi il tema della gestione dell’acqua lo studia da anni, che ha mostrato come il bacino più grande, affidabile ed economico è quello che sta sotto i nostri piedi e si sta svuotando per i prelievi sempre maggiori effettuati: la falda. Il 29 marzo di quest’anno in audizione in Terza Commissione Consiliare, Paolo Gurisatti e Renato Grotto della Fondazione Festari ci hanno illustrato i risultati di una sperimentazione fatta negli ultimi anni nel territorio vicentino con il progetto Aquor e il progetto Beware, di una tecnica di raccolta dell’acqua, di infiltrazione dell’acqua nelle risorgive, che è ben nota a tutti gli esperti, con la quale si tracciano dei fossati con il fondo permeabile dove l’acqua possa scendere. Si chiamano Aree Forestali di Infiltrazione (AFI) e hanno una capacità di accumulo fino a 1 milione di metri cubi per ettaro per anno, con una potenzialità stimata con cautela nel vicentino intorno ai 30 – 40 milioni di metri cubi, vale a dire quasi la metà del fabbisogno idrico delle aree del vicentino e padovano esposte al rischio siccità. E questo con un costo dell’ordine dei 15 mila euro per ettaro, di due ordini di grandezza inferiore a quello della diga per unità d’acqua raccolta, nessun rischio ambientale, un reddito assicurato per i proprietari dei terreni.

Non occorre un ingegnere esperto, né un economista brillante per capire che la soluzione della diga è irricevibile di fronte a questa alternativa: basta il buon senso. La mia critica, dunque, non è tanto e solo sul fronte ambientale, è soprattutto economica. La diga del Vanoi è un progetto insensato di fronte alle alternative esistenti, perché più costoso, più difficile, più pericoloso, meno efficiente. Ma forse è proprio per il fatto che le alternative costano meno che a qualcuno non piacciono.

Arturo Lorenzoni, consigliere regionale

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