L’Unione Europea, a seguito dello scoppio del conflitto tra Federazione Russa e Repubblica di Ucraina in data 24 febbraio 2022, ha adottato (alcune già dal 2014) diverse misure restrittive, diplomatiche, economiche e individuali, comunemente chiamate “sanzioni” nei confronti di Mosca.
Esse trovano il loro fondamento nell’art. 29 del TUE (Trattato sull’Unione Europea) e costituiscono uno strumento di politica estera. L’adozione, la cessazione e la revoca sono assunte, all’unanimità, con decisione del Consiglio su proposta dell’Alto rappresentante per la politica estera. Possono essere, comunque, impugnate davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha sede a Lussemburgo (art. 274 TFUE).
Ora, a più di sei mesi dall’inizio delle ostilità, queste misure si sono rivelate un boomerang per l’ordinamento comunitario e per gli Stati membri, tra cui l’Italia, che lo compongono.
In primo luogo, sul piano strettamente militare, si deve rilevare che la Russia non ha arretrato di un millimetro, controllando il 20% del territorio nazionale ucraino con una precisa strategia di guerra di posizione.
In secondo luogo, l’invio di armi a Kiev, sui cui maggioranza e (finta) opposizione parlamentare hanno votato concordemente (ed oggi il centro-destra pretende di porsi alla guida del Paese, ben conscio che non muterà né l’agenda Draghi, né la fallimentare politica estera italiana condotta fin qui), non solo non ha arrestato il conflitto, ma ha decuplicato i morti (ogni vita è preziosa), centuplicato i danni e dimostrato una totale sudditanza non solo verso Bruxelles, ma, soprattutto, verso chi controlla Bruxelles: gli Stati Uniti d’America con le loro basi NATO.
In terzo ed ultimo luogo, è indubbio che il rublo abbia guadagnato il 40% sul dollaro. Normalmente, ha osservato il prof. Jeffrey Frankle della Harvard Kennedy School (un americano), un Paese sottoposto a sanzioni pesanti e coinvolto in un grave conflitto militare vedrebbe gli investitori in fuga e una costante uscita di capitale, provocando il crollo della propria valuta. Tuttavia, nel caso della Russia, questo non sta succedendo. Mosca, infatti, riceve 20 miliardi di dollari al mese in ragione del fatto che molti acquirenti stranieri hanno ottemperato alla richiesta di pagare in rubli.
Prima la crisi interna russa doveva essere immediata, poi si dovevano attendere settimane, ora, visto che nulla si è verificato, si parla di mesi. Il dato certo è un altro: le contromosse di Putin e della Banca centrale russa sono state quelle classiche per tamponare le fughe di capitale: rialzo dei tassi, imposizione di limiti al prelievo al trasferimento dei depositi in valuta estera e conversione forzosa in rubli degli incassi delle esportazioni. Se le “misure coercitive” avevano come fine quello di bloccare le disponibilità russe di valuta estera e ridurre i nuovi afflussi, l’effetto, invece, è stato l’opposto: volendo togliere dal mercato le quantità di materie prime esportate dalla Russia, e non esistendo capacità produttiva che le sostituisse, i prezzi sono aumentati, compensando più che proporzionalmente il calo delle quantità.
Draghi ha fallito, l’opposizione italiana non ha saputo prendere una posizione diversa, l’Unione Europea ha posto le premesse per la sua stessa fine. Governati dai peggiori.
Daniele Trabucco