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Predazione del lupo a Tambre. De Carlo: “Convivenza impossibile”. Angelucci: “Le predazioni avvengono solo dove vi sono vulnerabilità”

“Visto che ormai sono anni che denunciamo l’impossibile convivenza tra il lupo e gli allevatori di montagna, e che nonostante questo c’è l’evidente volontà di non risolvere la questione, allora si istituiscano degli incentivi per far abbandonare la montagna a tutti quegli allevatori, agricoltori, hobbisti che vedono distrutto il loro lavoro da una mancanza di interesse della politica nazionale” Il senatore e coordinatore veneto di Fratelli d’Italia Luca De Carlo lancia così la provocazione all’indomani dell’ennesima predazione del lupo nel Bellunese, questa volta a Tambre.

Non sono dello stesso parere dalla Majella, nell’Appennino centrale dell’Abruzzo, dove sono presenti 120 allevamenti con una delle più alte densità di lupi al mondo.

Simone Angelucci, veterinario del Parco nazionale della Majella ha dichiarato all’Ansa lo scorso 24 marzo che “Il 95% per cento del cibo del lupo sulla Majella è costituito da cinghiali, cervi e caprioli. Le predazioni sul bestiame avvengono solo dove gli allevamenti mostrano particolari vulnerabilità, legate a una scarsa custodia, che a volte si verifica anche negli allevamenti meglio forniti e abituati ad attuare sistemi di prevenzione idonei”. L’Abruzzo ha affrontato il problema sburocratizzando le procedure di indennizzo con rimborsi in 24 ore agli allevatori. Oltre al supporto con sistemi di prevenzione pensati per ciascuna azienda e adattati ad ogni particolare contesto.

“C’è gente in montagna che lavora nonostante le difficoltà ambientali e morfologiche, che alleva greggi e bestiame che contribuiscono a produrre cibi d’eccellenza, a tenere pulito e sicuro il territorio e ad attirare turisti – sostiene De Carlo – ma i loro sforzi non valgono niente per chi, abituato a vivere in città e a vedere la montagna come parco giochi e non come luogo di vita e di lavoro per migliaia di persone, chiede e impone alla politica nazionale di non intervenire, per mantenere una natura a loro dire incontaminata invece di affrontare con serietà la questione”. “A questo punto, se non si capisce l’importanza dell’agricoltura di montagna, ci paghino per traslocare tutti quanti serenamente nelle grandi città, dove anche noi potremo credere alla storia di Heidi. Quando però questi signori che pontificano sulla natura dai divani di casa assisteranno all’abbandono dei pascoli, all’avanzare del bosco, all’inevitabile aumento dei disastri idrogeologici che avranno ripercussioni anche sulla pianura, non vengano a piangere da noi. Noi piangiamo già adesso per le perdite, le crisi e le chiusure delle aziende agricole montane causate anche dalla precisa scelta e volontà di non agire in loro aiuto”.

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