Il “dossier Stop Pesticidi di Legambiente” diffuso in occasione del convegno “Agricoltura libera da pesticidi” non mette in alcun modo in discussione il primato italiano a livello non solo europeo ma internazionale in materia di sicurezza alimentare.
“Le percentuali più alte di contaminazione sono state riscontrate sui prodotti agricoli importati, si pensi per esempio al thè verde cinese e ai peperoni che quest’anno si aggiudicano il primato per contaminazione con 25 residui a differenza dell’Italia che continua invece a confermare la sua assoluta integrità in termini di controlli e di garanzia dei prodotti agricoli”.
Lo dichiara il deputato bellunese di Fratelli d’Italia Luca De Carlo, Segretario della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati.
Nella classifica dei prodotti più contaminati e presenti nel mercato nazionale il peperone cinese si posiziona al primo posto, seguito dal pepe vietnamita con 12 residui e da una pomacea prodotta in Colombia con 15 residui.
Siamo ben lontani dai dati più che rassicuranti sui prodotti agricoli italiani, diffusi dal Ministero della salute lo scorso anno, unico ente ufficiale accreditato in grado di confermare, con certezza, la salubrità di un alimento, secondo i quali con il 99,2% di prodotti agricoli regolari rispetto alla presenza di residui di antiparassitari, su un’analisi relativa a oltre 11mila campioni (ortofrutta, cereali, olio, vino) l’Italia dimostra l’elevata professionalità delle imprese agricole italiane nell’impiego dei prodotti fitosanitari indice anche di un elevato livello di sostenibilità ambientale dovuto all’ampio ricorso alla difesa integrata ed all’agricoltura biologica e biodinamica. La distribuzione di fitofarmaci classificati come molto tossici e tossici, ad esempio, é diminuito nel periodo 2003-2017 del 43% (dati Istat) mentre il totale complessivo di prodotti fitosanitari si è ridotto del 26%.
E’, in ogni caso, importante sottolineare che, anche quando il campionamento registra un superamento del limite di residuo consentito, ciò non comporta problemi per la salute del consumatore , poiché la quantità di residui ammessa dalla legge è anche 100 volte inferiore alla soglia (Admissibile Ammissibile Daily Intake ) stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dalla FAO. Si tratta in sostanza di un limite legale ma non tossicologico.
Si può tranquillamente affermare che i residui di prodotti fitosanitari che il consumatore ingerisce nella dieta rappresentano una percentuale insignificante dei valori delle dosi giornaliere accettabili (ADI) delle singole sostanze attive. Del resto, i controlli effettuati dagli organi di vigilanza preposti ai controlli , evidenziano che le quantità ingerite di residui rappresentano nel peggiore dei casi, fatto 100 l’ADI, circa l’1,8%. Considerato che la soglia di rischio per la salute umana è rilevabile quando i residui ingeriti superano il 100% dell’ADI, si può dedurre l’assoluta sicurezza sanitaria dei prodotti italiani in commercio.
“L’obiettivo – prosegue l’onorevole De Carlo – deve essere, quindi, quello di aumentare il numero dei campionamenti effettuati dal Ministero della salute e dei laboratori accreditati, estendendo e rafforzando ulteriormente la rete di monitoraggio soprattutto all’importazione, supportandola con adeguate risorse umane e finanziarie, mantenendo alta l’attenzione sul problema dei residui, ma anche evitare inutili allarmismi che non siano fondati su evidenze scientificamente dimostrate come nel caso del multiresiduo, sul quale l’EFSA non si è ancora pronunciata.
E’ importante inoltre – conclude il segretario della Commissione Agricoltura Luca De Carlo – continuare a sostenere la ricerca e la sperimentazione finalizzate alla produzione di pesticidi naturali al fine di archiviare progressivamente quelli di origine chimica e al contempo è decisamente preferibile, quindi, acquistare prodotti agricoli italiani rispetto a quelli esteri, sicuri di avere un alimento ultra controllato e di qualità, considerato oltretutto che molti prodotti fitosanitari, altamente tossici, sono vietati in Italia da anni mentre continuano ad essere consentiti nei Paesi extra UE”.