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Belluno medaglia d’oro per il pagamento della tassa dei rifiuti. Solo 10 centesimi per cittadino di mancati incassi. Maglia nera a Roma con 149 euro di ammanco pro capite

Belluno, 20 luglio 2018 – Belluno è la capitale italiana per il versamento della tassa dei rifiuti. A dirlo è l’analisi di Crif Ratings condotta sui bilanci dei comuni italiani che ha analizzato i mancati incassi su base pro capite relativi alla tassa rifiuti del 2016, evidenziando le differenze emergenti a livello regionale, provinciale e di città metropolitane.

Nella provincia di Belluno mancano all’appello solo 10 centesimi per cittadino contro i 149 euro di Roma che si trova al polo opposto della classifica.
Tra le regioni virtuose si trovano quelle a statuto speciale del Nord Italia (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Val d’Aosta), la Lombardia e il Veneto con mancati incassi pro capite inferiori a 10 euro (ovvero meno dell’4% dell’accertato).
Tra le regioni meno virtuose troviamo al primo posto il Lazio dove l’ammanco pro capite è di 121 euro, seguito dalla Sicilia (con 77 euro su un accertato del 38%), mentre al terzo posto si trova la Campania con 63 euro e la Calabria (circa 45 euro).

A livello nazionale, secondo il report di Crif Ratings, ogni anno manca all’appello il 20% dei corrispettivi dovuti, che tradotto in altre parole significa che una famiglia italiana su cinque non paga. L’ammanco ha raggiunto EUR 1,8mld nel 2016 e si è attestato mediamente intorno ad EUR 1,7mld annui nel triennio 2014-2016.
I dati relativi ai mancati incassi, esposti in modo aggregato su base pro capite per l’ambito territoriale di riferimento, sono calcolati come differenza accertamenti della Tassa Rifiuti (‘TARI’) e l’ammontare effettivamente riscosso. In generale CRIF Ratings rileva che la TARI rappresenta in media circa il 30% del totale delle entrate tributarie e risulta essere il tributo che maggiormente si presta a non essere pagato dagli utenti data la natura “quasi universalistica” del servizio. Infatti, risulta difficile discriminare la raccolta per le utenze morose.
Sebbene la base del tributo sia legata al principio del “chi inquina paga” sancito dell’Unione Europea, il corrispettivo dovuto dall’utenza è legato esclusivamente ad elementi che esulano dall’effettivo utilizzo del servizio (ovvero superficie dell’abitazione e numero componenti del nucleo familiare), e pertanto tende ad amplificare le esternalità negative di comportamenti spesso “non etici”.

Inoltre, dal punto di vista finanziario, l’applicazione della logica del tributo fa restare in capo ai Comuni il rischio di mancata riscossione.

I regimi tributari/tariffari dal 1993 ad oggi
I rifiuti urbani sono di competenza esclusiva dei Comuni. Nel corso degli ultimi cinque anni, il ripensamento delle logiche sottostanti la finanza pubblica, in particolar modo dei trasferimenti statali, ha fatto assumere alle entrate proprie dei Comuni un’importanza strategica e gestionale. In questo passaggio, i Comuni hanno via via applicato differenti regimi di prelievo per i rifiuti, alternativamente a carattere tributario o a carattere tariffario, con diverse regole per la copertura dei costi del servizio. Di seguito i vari regimi tributari/tariffari che si sono succeduti dal 1993 ad oggi:
Il primo regime tributario, in vigore dal 1993, era rappresentato dalla TARSU (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), calcolata in base alla superficie dei locali occupati. Per questa tassa non esisteva l’obbligo di copertura integrale dei costi del servizio, con eccezione dei Comuni in dissesto finanziario e i Comuni in situazione deficitarie (rispettivamente al 100% e al 70%). Per la restante parte dei Comuni l’obbligo era almeno di coprire la metà dei costi. I costi eccedenti erano coperti attraverso la finanza pubblica visto che il rischio di mancato incasso era in capo al Comune, che remunerava il gestore sulla base di un contratto di servizio.
La TARSU doveva essere sostituita dalla TIA1 (tariffa di igiene ambientale) e TIA2. Concepite come corrispettivo con la copertura dei costi (operativi, amministrativi e di capitale) del servizio integrale articolava la tariffa in maniera binomia, una parte fissa e una variabile (rapportata alle quantità di rifiuti conferiti). La tariffa è fissata dal Comune sulla base di un piano finanziario e viene riscossa direttamente dal gestore del servizio.
Con il Decreto Salva Italia (art. 14 D.L. 201/2011), il regime tariffario viene messo in discussione e superato dalla TARES (tributo sui rifiuti e sui servizi). Il gettito del nuovo tributo, per la prima volta in assoluto, doveva coprire in maniera integrale i costi. Il tributo era dovuto da chiunque possedesse, detenesse od occupasse a vario titolo dei locali. In controtendenza con i metodi precedenti, i Comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti possono prevedere una tariffa che abbia natura corrispettiva in luogo del tributo. Il rischio industriale, e conseguentemente di riscossione, cade sul Comune se il prelievo avviene attraverso tributo, mentre è di competenza del gestore in caso di adozione di sistemi di misurazione puntuale.
A partire dal 2014 risulta attiva la TARI (tassa rifiuti). Il principio base rimane quello della TARES e il finanziamento dei costi del servizio deve, in ogni caso, assicurare la copertura integrale dei costi di esercizio e di investimento.

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