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Water Wall, ecco come conservare i cibi in Africa, dove non c’è energia elettrica. Vincitrici del progetto due architetti italiani Ambra Chiaradia e Diana Paoluzzi. La presentazione domenica I° luglio a Venezia Lido

Ambra Chiaradia e Diana Paoluzzi

“Water Wall” è una soluzione per la conservazione dei cibi freschi senza l’uso di energia elettrica per i Paesi del centro Africa. L’idea è di due giovani architetti italiani, Ambra Chiaradia bellunese d’adozione e Diana Paoluzzi di Buttrio (Udine). Il loro progetto è stato premiato lo scorso 22 aprile a New York nell’ambito del Summit Ideas In Action, Reform Refugee Response nei prestigiosi ambienti della University of Law, selezionato come vincitore unico del concorso internazionale Place and Displacement: A Marketplace in Refugee Settlements, selezionato tra oltre 340 proposte e 700 e più partecipanti da un’autorevole giuria internazionale costituita da alcuni dei più influenti ed affermati architetti, professori, dirigenti di ONG e politici del mondo.
Domenica 1° luglio saranno presenti entrambe al Lido di Venezia, dalle 17.00, all’ex caserma G.Pepe per la presentazione ufficiale del loro progetto.

Architetto Ambra Chiaradia, che cos’è Water Wall?
“Si tratta di uno speciale muro che, raccogliendo l’acqua durante la stagione delle piogge, utilizza il sistema totalmente passivo dell’Evaporative Cooling, letteralmente rinfrescamento evaporativo, per mantenere i cibi freschi e reperibili in luoghi fragili del mondo. Esso si propone come la matrice principale per la costruzione di mercati alimentari in questi contesti, dove la reperibilità di frutta e verdura, essenziali per l’adeguato apporto di vitamine e micro-macro nutrienti nella dieta, è oggetto di gravi problematiche che sono causa diretta della malnutrizione e dell’insicurezza alimentare.
In un mondo in cui un terzo del cibo prodotto viene gettato nella spazzatura, è necessario pensare come lo spreco alimentare e la fame siano facce della stessa medaglia, entrambe responsabili principali dell’attuale situazione sopra descritta. In particolare, nei paesi emergenti il cibo viene “gettato” a causa della mancanza di tecnologie post-raccolta ed è dannoso sia per i fornitori che per i consumatori: i piccoli produttori perdono gran parte della produzione ancor prima che questa raggiunga il mercato, mentre la rima- nente viene venduta ad un prezzo molto basso prima del naturale deterioramento dovuto alla mancanza di adeguati sistemi per la conservazione. L’assenza di idonee strutture in cui poter immagazzinare frutta e verdura è anche il motivo per cui gli alimenti freschi non possono raggiungere questi luoghi in quanto, esposti a condizioni climatiche e igieniche critiche, sarebbero oggetto di ulteriore spreco. La conseguenza di tale situazione è causa di enormi problemi sociali, ambientali ed economici, difficili da quantificare”.

Architetto Diana Paoluzzi, come viene realizzato questo muro refrigerante?
“Il cuore del progetto è il modulo base, il “Water Wall”, realizzato con metodi costruttivi semplici e con materiali locali “primitivi”, come la terra cruda per i mattoni o l’argilla per il layer rinfrescante. Il modulo, così pensato, è composto da un doppio strato di mattoni, al cui interno è posto un layer impermeabilizzante per la tanica. La tecnica proposta per “apparecchiare” i muri è chiamata “rat trap bond” (letteralmente “composizione a trappola per topi”) e permette di risparmiare il 25% di mattoni e il 40% di calce rispetto ai metodi costruttivi tradizionali. La struttura a sostegno del tetto è interamente composta da travi e pilastri in bamboo, materiale che unisce bassi costi a proprietà strutturali virtuose. Un semplice strato di argilla posto esternamente al muro permette di attivare, pompando capillarmente l’acqua al suo interno, il processo di raffreddamento per evaporazione. Una pompa manuale è stata ritenuta sufficiente per trasferire l’acqua raccolta dalla tanica interna al muro allo strato argilloso esterno e viene attivata da un’altalena ad uso dei bambini che, giocando, possono contribuire al funzionamento dell’intero sistema. Il doppio tetto favorisce la ventilazione e lo strato di alluminio posto nella parte inferiore permette di diminuire drasticamente gli apporti solari in corrispondenza del muro dove sono poste le mensole per immagazzinare i cibi. Il tetto superiore è costituito da un foglio metallico corrugato e inclinato per collezionare l’acqua nel corso della “stagione delle piogge”; quest’ultima sarà sufficiente per il funzionamento del “Water Wall” nel corso di un intero anno solare, sino al termine della “stagione secca” e al sopraggiungere di nuovi flussi piovosi stagionali.
In condizioni climatiche spesso critiche, con temperature capaci di raggiungere picchi estremi di 40-45 gradi e caratterizzate da bassissimi tassi di umidità, l’impiego di una tecnica totalmente passiva, capace di azzerare l’uso dell’energia elettrica per la refrigerazione, permette di sfruttare il clima come “risorsa”, anziché come “problema”. Infatti è possibile attivare il rinfrescamento evaporativo unicamente quando l’aria esterna è estremamente secca e calda. Quest’ultima, venendo a contatto con l’acqua contenuta nel pannello di scambio, (quello argilloso precedentemente descritto), provoca il fenomeno evaporativo, abbassando la temperatura in corrispondenza dell’area trattata anche di 15-20 gradi rispetto all’ambiente esterno circostante. L’ambiente fresco e umido che ne risulta è perfettamente in linea con l’esigenza di conservazione degli alimenti, che possono essere trattenuti all’interno di questo spazio per oltre due settimane, senza comprometterne le qualità nutritive intrinseche”.

Architetto Ambra Chiaradia, quali sono le caratteristiche tecniche di questo grande frigorifero?
“Questo “Water Wall” è il modulo base che andrà a comporre un nuovo sistema legato alla lavorazione, conservazione, riciclo e vendita del cibo, e viene re-ingegnerizzato in tre differenti modalità in base alle funzioni dei vari ambienti: una cella frigorifera con capacità di ca. 180 tonnellate di derrate alimentari (necessarie a sfamare settimanalmente oltre 40.000 persone), un mercato lineare e una terza area a “L” per il riciclo dei prodotti che arrivano a destinazione in condizioni non ottimali per la vendita diretta e destinati a subire processi di trasformazione sino a divenire succhi di frutta, marmellate, composte, ecc.
Questo nuovo “Centro per il Cibo” sarà costruito e gestito dagli stessi “locali”, in modo tale da rafforzare la loro autodeterminazione. Questi ultimi, riuniti in una Cooperativa, acquisteranno dai piccoli produttori le merci, stabilendo una relazione commerciale diretta con gli stessi. In questo modo entrambe le parti interessate, produttori e consumatori, si incontreranno metaforicamente “al Centro”, aumentando i reciproci guadagni e le reciproche competenze grazie ad una stretta e diretta collaborazione. In questo senso, per esempio, gli stessi membri della Cooperativa, una volta appresa la tecnologia costruttiva del “Water Wall”, saranno in grado di tramandare questo sapere agli stessi agricoltori, che potranno costruire separatamente alcuni di questi moduli per la conservazione post-raccolta nell’ambito delle proprie terre”.

Architetto Diana Paoluzzi, chi costruirà il manufatto in Africa?
“La grande risorsa di questi luoghi è la manodopera locale. E quindi, unendo la conoscenza nell’impiego delle risorse autoctone all’insegnamento di nuove tecniche e tecnologie, sarà possibile far coesistere tradizione e modernità; in questo modo ognuno potrà contribuire, rendendo possibile il processo di costruzione e di consolidamento del progetto “Water Wall”.
Lo spreco alimentare e la fame sono un problema crescente in tutto il mondo. Allo stesso modo, il raffreddamento evaporativo può essere facilmente applicato in molti di questi contesti, condizioni climatiche permettendo. La visione finale, quindi, è quella che vede non solo l’implementazione del progetto “Water Wall” in contesti estremamente delicati, come nel caso del Campo profughi di Kakuma (Kenya), ma la diffusione dello stesso in ogni luogo caratterizzato da problematiche legate allo spreco alimentare e alla malnutrizione. Grazie alla sua sostenibilità in termini economici, sociali e ambientali, il progetto del “Water Wall” è un’opportunità per molti luoghi fragili e vulnerabili del mondo. Esso è sì un muro, ma con l’obbiettivo di portare speranza e non divisione”.

Ambra Chiaradia
riceve la laurea magistrale in architettura al Politecnico di Milano nel 2015. Durante i suoi studi sviluppa un forte interesse per l’architettura sostenibile grazie a diverse esperienze formative e professionali, come il master post-laurea S.O.S frequentato nel 2016 a Bologna; la collaborazione con URBZ, un laboratorio di ricerca antropologica e urbana a Mumbai, nel 2014 e lavorando con il dipartimento di architettura del comune di Trieste per il nuovo piano regolatore cittadino (PRGC), nel 2012. Ambra collabora attualmente con lo studio olandese de Architekten Cie., ad Amsterdam, continuando ad esplorare la sostenibilita’ nella progettazione urbana ed architettonica, nel suo significato economico, ecologico e sociale.

Diana Paoluzzi

completa la sua laurea magistrale in architettura al Politecnico di Torino, nel 2014. Lavora nel frattempo per lo studio torinese DAR-Architettura. Completa la sua tesi di laurea studiando una delle piu’ grandi favelas brasiliane: l’esperienza incentiva il suo interesse per contesti in costante evoluzione, dove gli architetti sono stimolati a sperimentare nuove soluzioni e a trovare risposte a sfide emergenti. Nel 2016 frequenta il master post-laurea in architettura sostenibile S.O.S., a Bologna. Nel 2013 collabora alla realizzazione di una casa-container, promossa da ProRomProject Association, grazie alla quale acquisisce conoscenze specifiche sui processi di auto-costruzione. Diana sta attualmente collaborando con uno studio di architettura a Venezia.

Ambra e Diana approfondiscono assieme, durante il master di specializzazione post-laurea a Bologna, temi specifici legati all’architettura quali cambiamento climatico, architettura vernacolare, riduzione delle emissioni di CO2, ecologia, auto-costruzione. Da qui nascono le prime idee per il progetto, che continuano poi a sviluppare fino alla partecipazione nella competizione internazionale IDeA Place and Displacement, organizzata nel 2017 in collaborazione con UN-Habitat e YALE MACMILLAN CENTER. Il progetto “Water Wall, Low cost cooling for Kenya” vince il concorso internazionale e Ambra e Diana sono invitate a presentarlo al summit “Ideas in action” nella citta’ di New YorK.

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