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Quale modello per una crescita culturale dell’Alpago? * di Eugenio Padovan

Alpago. Lago di Santa Croce

Quale modello di cultura per l’Alpago. Se osserviamo i risultati elettorali, gli abitanti della conca non hanno avuto dubbi e hanno inviato a Roma, coerentemente, i rappresentanti delle forze che governano gli enti locali.

Purtuttavia, preso atto dei risultati elettorali, è d’obbligo qualche riflessione per non veder passivamente regredire una comunità su standard incapaci di intravvedere una prospettiva di crescita culturale che si trasponga anche nel settore economico e in ricerca ed innovazione. Considerando di come non sia agevole tentare di mettere i contorni, comprendere lo stato della cultura nella conca possiamo iniziare a cogliervi qua e là alcuni segni di vitalità. Ad esempio, le varie edizioni del “Mese del Libro” manifestazioni con importanti caratteristiche itineranti di diffusione di aspetti professionali ed intellettuali di gente locale e, non solo. Per continuare con la notevole attività dell’Università adulti/anziani ed ancora tutto quello che realizzano le varie associazioni volontaristiche gestendo pure delle sedi museali. Aspetti positivi ma, allo stesso tempo, senza tralasciare il grande vuoto che circonda e connota, da diversi anni, il settore degli enti locali e, in generale, la politica. (come dimenticarsi il nanismo delle amministrazioni di Farra dei primi anni 2000 con lo sperpero di denaro pubblico e la realizzazione di opere faraoniche inutili come Piazza Cesare Battisti, qui i progenitori del PD hanno dato il “meglio “).Per essere incisivi bisogna mettere in primo piano la non cultura rappresentata dalla quasi totalità delle amministrazioni comunali e rappresentanti politici ai vari livelli. Difatti, è necessario sottolineare come emerga sempre più la necessità di imboccare con decisione la strada degli investimenti culturali da non rivolgere solo a mostre o qualche contributo alle associazioni ma per porre le basi affinchè la cultura produca ricchezza dalle risorse locali esistenti e di qualità (l’archeologia di Pian de la Gnela è tra queste)da indirizzare ad un turismo di qualità e unicità. In questo ambito va inserita pure una crescita complessiva di cosa significhi la cultura per una comunità come quella alpagota. Allora, sempre per parlare chiaro è possibile assistere inermi alla realizzazione di opere come il bunker di Farra o a progetti che prevedono la realizzazione di una strada su di una frana a Curago. Per analogia ritenere che l’economia sia connessa, derivi solamente dall’edilizia mentre sul versante della cultura e dei beni culturali si punti esclusivamente sulla passione e sul volontariato. Può essere sufficiente premiare i neolaureati e non investire in cultura per creare occasioni di lavoro e, non solo negli uffici tecnici. Per riferirci alle promesse sulla sala espositiva da ricavare in piano dell’ex municipio di Pieve per esporre i reperti di Pian de la Gnela e dell’ascensore per accedervi, non si è ancora capito che fine abbia fatto tale progetto. Insieme a tutto questo perché non puntare a creare una infrastruttura permanente con un sistema museale locale da inserire in un più ampia rete esterna che spazi sia nei territori circostanti ma per giungere anche quelli sloveni e austriaci come dimostrano i contatti che intratteneva la comunità di Pian de la Gnela (VII-.V sec. a.C.).

Eugenio Padovan

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