Belluno, 16 febbraio 2018 – Ci sono voluti 15 anni e 9 mesi in una Italia impreparata ad affrontare il tema del fine vita, a Beppino Englaro per far valere le disposizioni di ultima volontà della figlia, la povera Eluana, che il 18 gennaio del 1992, all’età di 21 anni, rimase vittima di un incidente stradale cui seguì il coma profondo irreversibile. Lo ha raccontato ieri sera all’incontro pubblico sulla nuova legge sul testamento biologico che si è tenuto in sala Bianchi su iniziativa di “Liberi di scegliere”. Con Beppino Englaro, al tavolo dei relatori c’erano Amato De Monte direttore del Dipartimento di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Udine, Francesca Marin docente di Filosofia morale all’Università di Padova e i candidati del Pd Roger De Menech e Laura Puppato. Moderatore della serata Paolo Bello, capogruppo del Pd in consiglio comunale di Belluno.
“Eluana aveva visto il suo amico Alessandro, detto Furia, costretto in uno stato vegetativo a seguito di un incidente, ed era andata ad accendere un cero perché morisse” ha detto Beppino Englaro ripercorrendo la triste vicenda della figlia. “La vita per Eluana era libertà di vivere, non già condanna a vivere”. Una posizione univoca condivisa anche all’interno della famiglia Englaro. Che tuttavia si è trovata dinanzi a una serie di barriere morali e ideologiche sostenute dall’asse politico Sacconi-Formigoni-Berlusconi, di chi insomma, a parole, vuol essere più cattolico del Papa. Già nel 1957, infatti, come ha sottolineato il professor De Monte Papa Pio XII affermò che la decisione finale spetta al paziente o alla famiglia. Analoga posizione contro l’accanimento terapeutico venne ripresa da Papa PaoloVI nel 1970. E tuttavia, per dar voce alla figlia Eluana, in stato vegetativo, Beppino ha dovuto rivolgersi ai tribunali, fino al terzo grado della Cassazione per statuire la legittimità dell’autodeterminazione del paziente che gli era stata negata. Un diritto, peraltro, sancito dalla Costituzione (artt.13 e 32), come ha spiegato la senatrice Laura Puppato.
Con la nuova legge scaturita dal caso di Eluana Englaro, nessuno può decidere per noi o al posto nostro. “Oggi potete mettere nero su bianco (In Comune o dal notaio ndr) – ha detto Beppino Englaro – per non incorrere in ulteriori tragedie. Anche il cittadino, però, deve saper fare il cittadino, dal momento che la legge gli dà questa possibilità.
Sulla questione prettamente medica ha parlato il professor De Monte, spiegando che che queste situazioni di pazienti rimasti in stato vegetativo sono il risultato delle moderne terapie intensive. Una cinquantina d’anni fa quei pazienti sarebbero morti. Nel caso di Eluana Englaro, secondo il medico, vennero fatte cure inutili. Francesca Marin, docente all’Università di Padova, ha precisato che la nuova legge tutela il diritto alla vita, la dignità del paziente e l’autodeterminazione, introducento il criterio di pianificazione condivisa delle cure attraverso una relazione dinamica che continua nel tempo con un consenso progressivo tra paziente o familiari e i medici. Laura Puppato, parlamentare uscente e candidata, ha parlato di uno sdoganamento di alcuni tabù grazie alla nuova legge. Che non vuole in alcun modo introdurre l’eutanasia, ma semplicemente evitare l’accanimento terapeutico. Questa legge rispetta la vita, con l’obiettivo di tutelare i pazienti, le loro famiglie, i medici e il personale sanitario. La nostra guida è stato l’art. 32 della Costituzione, che al secondo comma stabilisce che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
L’onorevole Roger De Menech ha ricordato i passaggi che hanno portato alla nuova legge. “Il Parlamento – ha detto – è stato ostaggio di una tenda con uno stregone fuori del Parlamento. E per tattica o per paura non si sono prese decisioni. Questa è una legge che ha restituito la normalità al Paese- ha concluso – un modo consapevole di affrontare il tema del fine vita”. (rdn)