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Sabato al Canossiano di Feltre va in scena la commedia ironica Don Chisciotte Amore Mio

Sabato 13 gennaio alle ore 20.45 all’Auditorium Canossiano di Feltre, per la rassegna teatrale Tinnofoli, va in scena la commedia “Don Chisciotte amore mio” di Angelo Maria Tronca, con la Compagnia teatrale Raumtraum.

Istituto Canossiano

Don Chisciotte Amore Mio, una coinvolgente e ironica drammaturgia di Angelo Maria Tronca; un giocoso inno al teatro e alla letteratura vivificato dalla immaginifica regia di Giulio Federico Janni e dalla rutilante interpretazione di Michele Vargiu, Max Meraner e Letizia Cardines.

Vargiu e Meraner esaltano sulla scena un duo particolarmente affiatato e ben calibrato (oltre che estremamente ben diretto), temperato da momenti coreografici , disegnati da Anna Catalano e affidati alla grazia e alla forza espressiva di Letizia Cardines (qui anche attrice), che spezzano il ritmo dei dialoghi serrati e regalano respiro all’intera pièce. In poco più di un’ora di spettacolo i due protagonisti inanellano racconti e situazioni rocambolesche, sgranando dialoghi a gran velocità e prestando voce anche ai personaggi di Ronzinante e Babieca, rispettivamente il cavallo di Don Chisciotte e l’asina di Sancho Panza, cui Vargiu e Meraner danno vita agendo i pupazzi creati da Nadezhda Simeonova e Michela Cannoletta, in una sorta di teatro di figura ridotto all’osso che regala alcuni dei momenti più divertenti della messa in scena.

Nel dar anima e corpo a un Don Chisciotte tachilalico, istrionico e affabulatore e a un Sancho Panza esasperato e cialtrone, ma capace di entusiasmi romantici, Vargiu e Meraner sono i saltimbanchi irriverenti, pedanti, sboccati, irriguardosi, pulciosi e truffaldini che ogni sovrano vorrebbe alla sua corte. I costumi indovinati fané e retrò, per la maggior parte in carta di giornale lavorata, sempre di Nadezhda Simeonova e Michela Cannoletta, aggiungono fascino all’ambientazione che, nella sua essenzialità, ci riporta al gusto di un teatro di strada d’altri tempi, con tanto di baule e di strumenti più o meno improvvisati per gli effetti sonori. Dal punto di vista drammaturgico, il giovane autore torinese Angelo Maria Tronca (artista completo essendo anche attore e regista) ci regala un testo divertente e logorroico, una cavalcata gioiosa e godibilissima che pesca liberamente da Cervantes ma che ricorda anche Rostand e Stoppard, con echi di Beckett; un linguaggio che alterna una scanzonata e contemporanea quotidianità – spesso riferita al teatro: i suoi cliché, le sue bizzarrie, le sue contraddizioni – alla divertente parodia del sonetto bucolico.

Una follia scenica che pesca a piene mani nella migliore tradizione giullaresca, in cui le sconclusionate vicende di Don Chisciotte e Sancho Panza si intersecano con i battibecchi dei commedianti che li impersonano, dove il minimo comune denominatore è sempre la fame, la fame atavica e perenne che accomuna i sognatori, siano essi cavalieri erranti e relativi scudieri o guitti da strapazzo: quella reale (“che bella cosa morire di sapore!” esclamerà ad un certo punto Sancho Panza, al culmine di una lunga ode al formaggio), ma anche quella che si riferisce alla ricerca di senso, al desiderio mai sopito di trovare, nel pellegrinare, un destino più grande e più alto dei miseri, prosaici traffici di cui si pascono coloro che attraversano l’esistenza senza osservarla e senza trovarne il gusto e la poesia.

Presentazione tratta da https://www.rumorscena.com

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