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mercoledì, Giugno 7, 2023
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Una scelta a fine legislatura spesa in senso elettorale. Sottovalutata sin dall’inizio l’annessione al Friuli, la politica veneta cade di fronte al peso degli interessi politici di bottega  * di Mario Pozza

Mario Pozza

Abbiamo perso un pezzo di Veneto, per il momento, lo dico con grande rammarico nel veder portato avanti con tanta solerzia dai parlamentari friulani che contano, sia di maggioranza che di opposizione, il procedimento di Sappada.

Ne perdiamo tutti, perché Sappada è uno splendido territorio annesso ora ad una regione favorita dal suo status di regione autonoma.

Che dire, quale sarà adesso il prossimo comune che il Friuli scippa al Veneto?

Un procedimento che è stato sottovalutato e addirittura sostenuto dai partiti veneti.

Un’annessione che, guarda caso, avviene a fine legislatura per garantire i voti a quella parte politica che si trova alla guida della regione Friuli e che ha molti esponenti friulani in parlamento.

Tanta solerzia a permettere un percorso che pareva impossibile, certifica che la nostra Nazione è fatta da regioni di serie A e da quelle di serie B, quale sembra essere oggi il Veneto.

Sappada non è diversa da tante realtà della nostra montagna veneta, ma ha ritenuto conveniente risolvere i propri problemi chiedendo di far parte di una Comunità che si gestisce con regole diverse rispetto a quelle di una regione a statuto ordinario.

La politica, alla fine del percorso, ha permesso di assecondare la volontà dei cittadini.

E questo non è un male, magari avvenisse sempre così, staremo meglio anche noi in Veneto.

Delle due l’una.

O sono furbi i cittadini di Sappada o sono fessi quelli del Veneto.

Poiché i cittadini, gli imprenditori e le Comunità locali non sono fessi, probabilmente, sono sbagliate le regole e bisogna velocemente cambiarle per evitare, come ha detto qualcuno, che intere regioni, paradossalmente, chiedano di essere accorpate a quelle più vicine che hanno regole di maggior vantaggio.

Dal mio osservatorio di Presidente di una Camera di commercio tre volte di confine – con il Friuli Venezia Giulia, con il Trentino e con il Tirolo e la Carinzia – devo dire che ho incontrato tanti imprenditori veneti che soffrono la maggior competitività dei colleghi friulani e di quelli trentini semplicemente perché, in questi territori, hanno maggiori vantaggi dettati dalla loro specialità, da maggiori risorse investite in infrastrutture, in formazione dei giovani, nella migliore fiscalità, nelle politiche industriali ed in quelle degli incentivi.

La competitività non viene dall’essere più bravi – in alcuni settori sono bravi veramente -, nella maggior parte, sono bravi come noi veneti.

La differenza è che vivono in un contesto sociale ed istituzionale più favorevole.

Questo tipo di competitività io la chiamo “concorrenza legalmente sleale” dovuta ai vantaggi di un contesto speciale che vorremmo tutti avere.

Ma anche in Friuli ci sono due metri e due misure pur essendo Regione a Statuto speciale.

La riforma delle Camere di commercio ha salvato le Camere di commercio di Gorizia e di Trieste che si sono accorpate tra loro, ma non con Udine e Pordenone, pur non avendo i numeri di imprese sufficienti rispetto ai limiti imposti dalla legge per la sostenibilità economica e finanziaria, ma solo perché sono Camere di confine.

La Camera di Pordenone che aveva chiesto provocatoriamente di unirsi a Treviso – Belluno per contiguità economica dei territori, dei sistemi produttivi e dei servizi, deve ricorrere al Tar per difendere la sua autonomia e l’innaturale accorpamento ad Udine.

Un gran pateracchio, che certifica il fallimento sia della politica romana sia di quella della Regione friulana.

Detto questo, credo sia maturo il tempo di fare delle riforme che servono a rendere tutto il Paese più competitivo senza privilegi per nessuno, ma con vantaggi che vengono per tutti.

I cittadini veneti che sono anche imprenditori ed imprenditrici, dirigenti d’azienda operai e commessi, segretarie, professionisti, qualche settimana fa, non hanno chiesto di diventare trentini o friulani ma di restare veneti in un contesto di regole fiscali, amministrative, di competenze, di rapporti istituzionali più favorevoli o quantomeno uguali a quelle che ci sono nei territori contigui.

La competizione della nostra economia si gioca quotidianamente in un contesto globale e le nostre imprese non temono la concorrenza di nessuno a parità di condizioni di partenza.

Stiamo uscendo da una crisi e ci serve un Paese più competitivo, un apparato amministrativo meno invadente e più coraggioso, con meno privilegi. Le risorse che vengono dai nostri territori non devono finanziare il debito pubblico che continua a crescere, ma gli investimenti che servono, pubblici e privati, la ripresa di consumi, il credito alle imprese in particolare quelle piccole e medie dopo il disastro provocato dal malgoverno anche delle nostre banche locali.

Molti imprenditori non sanno che ogni anno 40 milioni che pagano le imprese con il diritto annuale alle Camere di Commercio in Italia, non vanno a finanziare programmi ed interventi a sostegno dell’economia locale, ma vanno a finire nel bilancio dello Stato per ridurre il debito pubblico che invece aumenta.

Alcune Camere di commercio tra le quali quelle di Venezia – Rovigo e Treviso – Belluno sono “in causa” con il Governo contro queste disposizioni inique. La Legge di stabilità in discussione in Parlamento dovrebbe abrogare queste norme e destinare le risorse a finanziare il credito per le imprese in tutte le parti del Paese.

Che sia la volta buona? Faremo finalmente il tifo per i nostri parlamentari.

Certo che sarebbe l’opposto del siparietto offerto da un Comune che transita in una Regione a Statuto speciale sostenuto dalla maggioranza di una politica incapace.

Con molto rispetto per i cittadini e gli imprenditori del pezzo di Veneto annesso al Friuli.

Mario Pozza – Presidente della Camera di Commercio di Treviso – Belluno

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