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Referendum consultivi sull’autonomia regionale: ecco perché non servono a nulla. 40 milioni buttati per soddisfare il test della Lega che nessun governo potrebbe avvallare

Si avvicina il 22 ottobre data dei referendum consultivi sull’autonomia per la Lombardia e il Veneto, che costeranno secondo le stime 24 milioni di euro per la Lombardia (compreso l’acquisto di 8mila tablet per i seggi che poi rimarranno alle scuole) e 14 milioni per i Veneto.
Istintivamente, alla domanda che sarà posta al cittadino nella scheda, è quasi automatica la voglia del Sì. “Volete voi che la Regione, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”

In caso di vittoria del sì, che appare per lo più scontato, l’unica incognita è l’affluenza alle urne, e la Regione sarà autorizzata a intraprendere le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, pur restando nel quadro dell’unità nazionale.

Non essendo un referendum costituzionale ma consultivo, il potere di concedere forme particolari di autonomia rimane nelle mani dello Stato con voto del Parlamento. E qui viene il bello. Perché qualsiasi governo in carica, sia esso di destra o di sinistra, se dovesse concedere a Lombardia e Veneto qull’autonomia finanziaria tanto agognata, simile al quella di cui gode il Trentino – Alto Adige, lasciando ad esempio alle Regioni il 90% del residuo fiscale (da tre anni Trento e Bolzano trattengono in realtà l’80% a seguito dell’accordo sottoscritto da Kompatscher e Rossi che garantisce allo Stato circa altre 10% per sostenere il debito pubblico, in cambio di stabilire la percentuale fissa per poter calcolare le spesi locali) si  troverebbe in grossa difficoltà con il bilancio dello Stato. Dal momento che l’Italia, con l’adesione all’euro ha perduto la sua sovranità monetaria e non può più stampare moneta e svalutare, per sanare il deficit.

I conti, nel dettaglio, li ha fatti e pubblicati nel suo blog l’economista Gabriele Pernechele, che dice “Un altro aspetto interessante è considerare quali potrebbero essere gli effetti per i conti (traballanti) dello Stato se venisse a mancare il residuo fiscale della Lombardia e del Veneto. La prima ha un residuo fiscale di 53,9 miliardi di euro, la seconda di 18,2 miliardi di euro per un totale di poco più di 72 miliardi di euro. Cifre di tutto rispetto se rapportate al PIL nazionale. Se dovesse mancare in toto questa cifra, il saldo primario dello Stato ne risentirebbe negativamente. Il debito pubblico italiano ha ormai sfondato quota 2.300 miliradi di euro con una produzione di interessi sul debito stesso di oltre 60 milardi di euro. La formazione del saldo primario è composta dalla differenza fra le entrate dello Stato e le spese senza tener conto degli interessi sul debito pubblico. Ammesso che le due regioni trattengano il 90% del residuo fiscale, in termini di bilancio primario significherebbe un ammanco per l’intero ammontare degli interessi sul debito pubblico che dovrebbero essere recuperati o con un aumento delle entrate ( maggiori imposte/tasse/accise), oppure minori spese (riduzione dei servizi ai cittadini)”.

Le ferree regole della Bce, insomma, ci tengono in ostaggio. L’autonomia a Lombardia e Veneto, le due Regioni più ricche che maggiormente contribuiscono all’equilibrio di bilancio, determinerebbe un maggior debito dello Stato centrale, e dunque una situiazione inammissibile con l’attuale assetto e gli equilibri internazionali.
Per quanto riguarda l’altro referendum consultivo, quello relativo all’autonomia della Provincia di Belluno, anche qui l’esito è scontato, probabilmente siamo tutti per una maggior autonomia e aspettiamo solo di verificare l’affluenza alle urne.
La situazione qui è ancora più grottesca, perché si spendono 330mila euro per chiedere l’autonomia. Forse non tutti ricordano la grande battaglia vinta dal compianto Sergio Reolon sul demanio idrico. Oggi la provincia di Belluno incassa circa 15 milioni l’anno per lo sfruttamento dei corsi d’acqua. Nessuno ha mai risposto con chiarezza chi gestisce oggi i soldi del demanio idrico di competenza della provincia, precedentemente in mano alla Regione Veneto.

Roberto De Nart

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